premesso che:
nel nostro stato sociale di diritto, dove la persona assurge a ruolo centrale, la pena cessa di avere un'impronta autoritaria di conformazione delle condotte e diventa uno degli strumenti per la rieducazione del reo, che aspira al recupero del cittadino dopo un percorso trattamentale. Il carcere si pone, quindi, come esperienza provvisoria che prelude al rientro nella società;
in questo contesto si inserivano le misure alternative alla detenzione introdotte con la «legge Gozzini» nel 1986 e con la «legge Simeone-Saraceni» nel 1998 e che vengono applicate successivamente alla condanna dal magistrato di sorveglianza. La ratio è quella di favorire un reinserimento sociale nella fase conclusiva di una pena lunga o di sostituire pene detentive brevi, mediante un approccio di ricucitura graduale e controllata con la società civile;
è noto che l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esse la politica, la società civile, la magistratura, ma soprattutto i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
se le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile, bisogna chiedersi perché. Vi è stata da vari anni una contrazione nell'ambito delle politiche di sicurezza della possibilità di utilizzo delle cosiddette misure alternative: sono costanti l'elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, l'introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, l'innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso emblematico è la «legge ex Cirielli», legge n. 251 del 2005, che ha accorciato i tempi di prescrizione per alcuni reati e ha introdotto limiti alla concessione delle misure premiali ai recidivi reiterati, categoria che ricomprende in sé anche reati per fatti di scarso allarme sociale e magari per fatti distanti decenni nel tempo;
già l'11 e il 12 gennaio del 2010, con la discussione sulla mozione Franceschini 1/00302 e sulle altre mozioni abbinate, la Camera dei deputati si è occupata della situazione carceraria: il Governo, ad oggi, deve ancora dare attuazione a molti degli impegni assunti con l'approvazione di quella mozione Franceschini e delle altre mozioni abbinate;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il Ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio dei ministri). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal Ministro nel mese di gennaio 2010, tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2010 e 100 milioni del bilancio della giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, prevedendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione giustizia, né il Ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno mai fornito, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del piano di interventi; dell'assunzione dei 2.000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
a tre anni dall'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, che ha trasferito al servizio sanitario nazionale le competenze riguardanti la salute in carcere, in applicazione del Titolo V della Costituzione e del decreto legislativo n. 230 del 1999, «Riordino della medicina penitenziaria», che, all'articolo 1, sancisce il diritto dei detenuti e degli internati «al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali», la riforma ha trovato applicazione solo parzialmente, e sono frequenti i casi in cui viene negato il diritto alla salute dei carcerati, in particolare delle persone in attesa di giudizio;
la presente mozione si rende necessaria per dare un nuovo forte indirizzo alla «politica carceraria» del Governo,
a ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana;
a reperire le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria, nonché del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia (educatori, assistenti sociali, psicologi), avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie e che sia in grado di supportare l'auspicata riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione; a promuovere, sostenere e verificare l'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, attuativo del riordino della medicina penitenziaria, così come prevista dal decreto legislativo n. 230 del 1999, in particolare per quanto concerne l'applicazione dell'articolo 5, che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e il trasferimento alle regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari ubicati nel territorio delle medesime, nonché di prevedere, nell'ambito della relazione annuale sullo stato di salute dei cittadini da presentare al Parlamento, un capitolo dedicato alla situazione sanitaria nelle carceri italiane;
a prevedere per le regioni impegnate nei piani di rientro dai deficit sanitari la possibilità di non sottoporre a restrizioni i fondi destinati alla sanità in carcere;
ad attivare una specifica azione di monitoraggio sull'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, al fine di accertare l'effettività della garanzia del diritto alla salute per i carcerati e per le persone in attesa di giudizio;
ad affrontare con la massima urgenza, assumendo le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
a promuovere la modifica del comma 1-bis dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena, tenendo conto che è opportuno che l'effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni, nonché a rafforzare le piante organiche degli uffici di sorveglianza e a favorire, nell'ambito di una corretta collaborazione istituzionale, l'elaborazione di linee guida o di protocolli operativi utili a rendere chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell'azione della magistratura di sorveglianza (così da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere);
ad attivare tutti gli adempimenti necessari affinché il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria proceda, nell'ambito delle assunzioni già autorizzate per personale da destinarsi agli uffici giudiziari, per l'anno 2011, e per quelle ancora da autorizzare, in riferimento agli anni a venire, alla prioritaria utilizzazione, partendo dalla posizione n. 414, della graduatoria risultante dal concorso bandito dal Ministero della giustizia - dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - a 397 posti di educatore penitenziario, pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale dello stesso; ad effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», valutando anche di procedere in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013;
ad informare tempestivamente il Parlamento in merito allo stato di attuazione del piano carceri relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria, per i quali il commissario straordinario, in base agli articoli 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, può procedere in deroga alle ordinarie competenze;
ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere.
(1-00615)
(Nuova formulazione) «Ferranti, Amici, Tidei, Melis, Miotto, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Andrea Orlando, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Touadi, Rampi, Codurelli, Vico».
(11 aprile 2011)
La Camera,
premesso che:
il 12 gennaio 2010 l'Assemblea della Camera dei deputati aveva approvato 12 punti della mozione radicale sulle carceri che aveva ricevuto il sostegno di decine di deputati di maggioranza e di opposizione;
i 12 punti approvati impegnavano il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge Gozzini, da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario;
d) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
e) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi per ridurre il rischio di recidiva;
f) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
g) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
h) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
i) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
l) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge Smuraglia), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
m) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
n) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
i punti approvati più di un anno fa sono ancora di stringente attualità, atteso che le condizioni nei penitenziari italiani sono addirittura peggiorate: essendo aumentato il numero dei detenuti che sono passati da 64.791 al 31 dicembre 2009 ai 67.600 del 31 marzo 2011; essendo drammaticamente permanente il numero delle morti in carcere e degli altri eventi critici, ivi compresi i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo, le aggressioni al personale; permanendo la carenza di 6.000 unità nel corpo degli agenti di polizia penitenziaria; essendo stati tagliati di un ulteriore 30 per cento i già esegui fondi stanziati per il lavoro in carcere (mercedi), per la manutenzione ordinaria degli edifici, per il monte ore delle prestazioni degli psicologi, per i capitoli di spesa per i sussidi ai detenuti indigenti, per le dotazioni di generi per la pulizia personale e per la pulizia delle celle,
a dare attuazione con urgenza agli impegni già assunti più di un anno fa con le mozioni approvate in data 12 gennaio 2010;
a rendere costantemente conto, anche rispondendo tempestivamente agli atti di sindacato ispettivo presentati, dell'attuazione degli impegni presi.
(1-00617)
«Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti, Calvisi, Marrocu, Burtone, Baretta».
(12 aprile 2011)
La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le carceri italiane, con un sovraffollamento di molto superiore alle soglie di tollerabilità di ogni singolo istituto, sono tali da rendere inaccettabili le condizioni di vivibilità per i detenuti mortificando lo stesso lavoro degli agenti della polizia penitenziaria;
la situazione nelle carceri è drammatica ed è precipitata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, da quando sono state approvate due leggi: l'ex Cirielli, che vieta nel caso di reati minori pene alternative, e la Fini-Giovanardi, che aumenta le sanzioni per produzione, traffico, detenzione illecita e uso di sostanze stupefacenti: l'una e l'altra stanno alimentando il sovraffollamento;
la Costituzione italiana prescrive espressamente all'articolo 27 che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato;
i dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria segnalano un'allarmante crescita media di oltre 500 reclusioni al mese, che hanno già determinato il superamento della capienza tollerabile di detenuti negli istituti di pena italiani: a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 44.000 unità, i detenuti risultano essere oltre 68.000;
alla data del 20 marzo 2011, negli istituti penitenziari italiani (circuito per adulti) erano ristretti 67.318 detenuti (64.370 uomini e 2.948 donne) a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 45.059. Un surplus di 22.259 detenuti in più rispetto alla massima capienza che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 54,2 per cento. In nove regioni italiane il tasso di affollamento varia dal 23 al 50 per cento, in dieci regioni dal 51 all'80 per cento e l'unica regione che non presenta (apparentemente) una situazione sovraffollata è il Trentino Alto Adige (ma il dato è condizionato dal sottoutilizzo del nuovo carcere di Trento). Capofila, per sovraffollamento, la Calabria (77,6 percento) seguita da Puglia (76,3 per cento), Emilia Romagna (73,7 per cento), Marche (72,1 percento) e Lombardia (65,9 per cento). L'istituto con il più alto tasso di affollamento si conferma Lamezia Terme (193,3 per cento), seguito da Busto Arsizio (164,7 per cento), Vicenza (155,5 per cento). Brescia Canton Mombello (152,5 per cento), Mistretta (137,5 per cento);
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, si sono verificati 14 suicidi in cella;
nel fine settimana del 2 e 3 aprile 2011 ci sono stati quattro tentativi di suicidio (in tre casi il detenuto è morto). Dall'inizio dell'anno le vittime sono 37, di cui 15 per suicidio, 17 per cause naturali e 7 ancora da accertare, 12 gli stranieri. Altri casi: Giuseppe Uva morto nella caserma dei carabinieri di Varese per percosse, Niki Aprile Gatti morto nel carcere di Sollicciano (la famiglia non crede che si sia ucciso). Uno dei quattro tentativi di suicidio avvenuti nel citato fine settimana è quello di Carlo Saturnio, 22 anni, di Manduria, morto il 7 aprile 2011. Il giovane, detenuto per furto, era parte civile in un processo a Lecce contro 9 agenti del carcere minorile accusati di maltrattamenti e vessazioni su detenuti. Carlo aveva denunciato le sevizie subite all'età di 16 anni;
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, in 91 istituti (sui 205 attivi) sono stati tentati 194 suicidi. I detenuti che debbono la vita a salvataggi in extremis da parte di poliziotti penitenziari assommano a 31. Il numero maggiore di tentati suicidi si è verificato a Venezia Santa Maria Maggiore (10) seguita da Como, Firenze Sollicciano e San Gimignano (7). In 134 istituti si sono verificati 1.025 episodi di autolesionismo. Il triste primato spetta a Lecce (54), seguita da Bologna e Firenze Sollicciano (33) nonché da Genova Marassi e dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli (31). Ad aggravare il quadro complessivo concorrono i 59 episodi di aggressioni in danno di poliziotti penitenziari, che contano 39 unità ferite che hanno riportato lesioni giudicate guaribili oltre i sette giorni. A Genova Marassi il maggior numero di aggressioni ai baschi blu (6) seguita dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e dagli ospedali psichiatrici giudiziari di Napoli e Como (5). Ma non mancano nemmeno le proteste. Dal 1o gennaio al 20 marzo 2011 le manifestazioni di protesta collettive, all'interno dei penitenziari, sono state 75. Gli scioperi della fame 1.153; i rifiuti delle terapie mediche 57; i rifiuti del vitto dell'amministrazione 217; gli atti di turbamento dell'ordine e della sicurezza 59. Questi numeri fotografano oltre ogni competente commento - aggiunge Sarno - la realtà che connota i nostri penitenziari, sempre più città fantasma confinate nelle retrovie dell'attenzione di chi è deputato ad analizzare e risolvere le grandi questioni sociali: i politici;
oltre a denunciare le condizioni di estremo degrado e decadenza degli istituti penitenziari, è d'obbligo rimarcare le conseguenze, dirette, che lo sfascio del sistema carcerario riversa sulla pubblica sicurezza;
la gravissima deficienza organica della polizia penitenziaria, stimata intorno alle 6.500 unità, non solo determina carichi di lavoro insostenibili e inaccettabili condizioni di lavoro, ma produce effetti devastanti per l'ordine pubblico. I cinque evasi, nelle ultime settimane (da Augusta, Voghera e Roma) testimoniano, in modo significativo e indicativo, questa eventualità. Non poter garantire, per penuria d'organico, adeguata sorveglianza ai detenuti ristretti (persino a quelli classificati «alta sicurezza») ed ai detenuti ricoverati nelle corsie ordinarie degli ospedali e non poter effettuare i servizi di traduzione in canoni di sicurezza è un grave vulnus per l'ordine pubblico;
da una denuncia contenuta in un report di Ristretti orizzonti, l'associazione che monitora la situazione delle carceri, risulta che: «Negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario italiano è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro. Dal 2007 al 2010 le spese sono state ridotte del 10 per cento, ma in modo diseguale. Il personale ha rinunciato al 5 per cento del budget, l'attività di rieducazione dei detenuti e la manutenzione delle strutture penitenziarie hanno avuto il 31 per cento in meno di fondi. Dal 2000 ad oggi il costo medio annuo del Dap è stato di 2 miliardi e mezzo. Il grosso della spesa (quasi l'80 per cento) paga i costi del personale»;
«Nel 2007 la spesa, pari a 3 miliardi e 95 milioni di euro, ha segnato il massimo storico. Nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalle ultime leggi finanziarie, la spesa è risultata essere di 2 miliardi e 770 milioni di euro, in calo di circa il 10 per cento rispetto al 2007. Il 79,2 per cento dei costi nel decennio - spiega il report - sono stati assorbiti dai circa 48.000 dipendenti del Dap (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori e altro), il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale e altro), il 4,4 per cento dalla manutenzione delle carceri e il 3,4 per cento dal loro funzionamento (energia elettrica, acqua e altro)». «L'incidenza del costo relativo al personale negli ultimi 4 anni è aumentata di ben 5 punti percentuali (dal 79,3 del 2007 all'84,3 per cento del 2010), quindi i sacrifici non si sono scaricati equamente sui diversi capitoli di spesa: al personale in 4 anni sono stati tolti 119.225.000 euro (circa il 5 per cento del budget a disposizione nel 2007), mentre nello stesso periodo le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di 205.775.000 euro, pari al 31,2 per cento»;
l'associazione spiega inoltre che «per quanto riguarda il costo medio giornaliero di ogni singolo detenuto, dal 2001 ad oggi il costo medio è stato di 138,7 euro. Questa cifra è determinata da due elementi: la somma a disposizione dell'amministrazione penitenziaria e il numero medio dei detenuti presenti in un dato anno. L'ammontare dei fondi stanziati non risulta collegato all'aumento della popolazione detenuta (tanto che dal 2007 ad oggi i detenuti sono aumentati del 50 per cento e le risorse del Dap sono diminuite del 10 per cento), quindi più persone ci sono in carcere e meno costerà il mantenimento di ciascuno di loro; così, mentre il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti (in 30 mesi i detenuti sono aumentati di quasi 30 mila unità: dai 39.005 dell'1o gennaio 2007 ai 67.961 del 31 dicembre 2010), la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro)»;
nel dettaglio, di questi 113 euro: 95,3 (pari all'84,3 per cento del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6,2 per cento del totale) sono spesi per il cibo, l'igiene, l'assistenza e l'istruzione dei detenuti; 5,60 (5,4 per cento del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4,1 per cento del totale) per il funzionamento delle carceri (elettricità, acqua e altro). Escludendo i costi per il personale penitenziario e per l'assistenza sanitaria, che è diventata di competenza del Ministero della salute, nel 2010 la spesa complessiva per il mantenimento dei detenuti è pari a 321.691.037 euro, quindi ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno;
tra le voci di spesa, i pasti rappresentano la maggiore (3,95 euro al giorno), seguita dai costi di funzionamento delle carceri (acqua, luce, energia elettrica, gas e telefoni, pulizia locali, riscaldamento e altro), pari a 3,6 euro al giorno, e dalle mercedi dei lavoranti (cioè i compensi per i detenuti addetti alle pulizie, alle cucine, alla manutenzione ordinaria e altro), che concorrono per 2,24 euro al giorno. «Al riguardo va detto che il fabbisogno stimato per il funzionamento dei cosiddetti servizi domestici sarebbe di 85 milioni all'anno, ma nel 2010 ne sono stati spesi soltanto 54: i pochi detenuti che lavorano si sono visti ridurre gli orari e, di conseguenza, nelle carceri domina la sporcizia e l'incuria», segnala il report;
per quanto riguarda la rieducazione, «la spesa risulta a livelli irrisori: nel trattamento della personalità ed assistenza psicologica vengono investiti 2,6 euro al mese, pari a 8 centesimi al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive: 3,5 euro al mese, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto;
nella colpevole indifferenza del Governo la situazione nelle carceri italiane è diventata ormai insostenibile, sia per i detenuti che per la polizia penitenziaria e la protesta delle agenti donne di Rebibbia è la risposta drammatica ed estrema di chi si sente completamente abbandonato dallo Stato»;
il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia conoscono bene la gestione dei detenuti sottoposti al regime previsto dal 41-bis. Per legge, questa tipologia di detenuti dovrebbe essere sorvegliata dal reparto specializzato della polizia penitenziaria Gom (Gruppo operativo mobile). Ma in più di una struttura (Parma su tutte, a seguire Milano Opera, Novara e altre) i detenuti al 41-bis non sempre sono affidati al personale del Gruppo operativo mobile;
i dati che si registrano sull'aumento dei suicidi nelle carceri italiane parallelamente alla crescita del numero dei detenuti risultano particolarmente preoccupanti, tenuto conto che, solo dall'inizio del 2010, sono stati riscontrati alla data del 29 luglio 2010 39 casi di suicidio nelle strutture penitenziarie del Paese, come documentato dall'associazione Antigone e dal sito del Garante dei detenuti della Sicilia;
la carenza di fondi destinati al lavoro in istituto, legata al sovrannumero, comporta una oggettiva difficoltà nel favorire un percorso riabilitativo cosicché, nella maggioranza dei casi, la reclusione intramuraria risulta essere solo un'espiazione della pena, senza che si siano oggettivamente attivate significative iniziative di rieducazione e di reinserimento;
una rappresentanza della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, recandosi in visita presso alcuni istituti penitenziari della Sicilia, ha potuto riscontrare direttamente come la carenza di fondi abbia come effetto immediato la sostanziale impossibilità di favorire un percorso riabilitativo e come l'esiguità degli spazi costituisca una minaccia alla salute fisica e mentale dei detenuti, con il risultato che appena il 10-15 per cento dei reclusi, tra l'altro, è nelle condizioni di svolgere attività lavorativa;
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti e altri atti internazionali firmati e ratificati dall'Italia stabiliscono il divieto assoluto di tortura e trattamento inumano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha più volte condannato l'Italia per le condizioni in cui tiene il proprio sistema carcerario;
il Consiglio dei diritti umani di Ginevra, nell'ambito della procedura di verifica periodica universale cui nel 2010 è stata sottoposta l'Italia, con le sue raccomandazioni ha stigmatizzato il sistema carcerario italiano;
in Italia i magistrati di sorveglianza sono 178 (l'organico è di 204) e ogni magistrato deve occuparsi mediamente di 394 detenuti;
ogni detenuto presenta circa dieci domande l'anno (ricoveri, reclami, liberazioni anticipate, misure alternative ed altro) e ogni giudice di sorveglianza è costretto a portare avanti circa quattro mila procedimenti non potendo, così, esercitare le funzioni di controllo di legalità all'interno degli istituti penitenziari attraverso lo strumento delle ispezioni;
in Italia, contrariamente a quanto previsto in ben 22 Paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria), non esiste un organismo di controllo delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà deputato a svolgere attività di protezione dei diritti delle persone ristrette;
la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri degli Stati membri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006 nel corso di una riunione dei delegati dei Ministri) ha stabilito che le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare misure di sicurezza compatibili (tra l'altro) col rischio che i detenuti si feriscano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito, in virtù di quanto previsto dall'articolo 3 della Convenzione (che sancisce in termini assoluti il divieto di tortura, pene o trattamenti disumani o degradanti), che lo Stato deve assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l'interessato a pericoli o a prove di un'intensità che eccedano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato,
a convocare tempestivamente i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
ad informare semestralmente il Parlamento sugli esiti del progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, con particolare riferimento ai processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne più efficiente e meno pesante l'attività lavorativa;
a valutare ogni iniziativa volta all'assunzione di educatori penitenziari; ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa e che abbiano tra i propri obiettivi quello di formare in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione, e in ogni caso poteri idonei a promuovere concretamente attività di prevenzione e soluzione dei conflitti;
a valutare l'adozione di iniziative normative volte a migliorare e tutelare la dignità personale dei detenuti e le condizioni di lavoro di tutto il personale che vi opera, nel pieno rispetto del dettato costituzionale, nonché delle disposizioni dei numerosi atti internazionali sottoscritti dall'Italia.
(1-00618)
«Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Palomba, Di Stanislao, Paladini, Monai».
(12 aprile 2011)
La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal settimo rapporto sulle carceri, presentato il 22 ottobre 2010 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota pari a 68.527, ben quasi 24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare (stimata in 44.612 posti letto) e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d'Italia, precisamente quelli di Padova, Roma Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia Capanne, Como, Firenze Sollicciano, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Novara, Bologna, Gorizia, Trieste e Pistoia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori (numero dei detenuti presenti, metri quadri a disposizione per carcerato, condizioni igieniche ed ambientali, numero di ore trascorse al di fuori della cella), normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento;
il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è composto da imputati: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
nel febbraio 2009 il Ministro della giustizia aveva annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
a distanza di un anno, il 13 gennaio 2010, il Governo proclamava lo «stato d'emergenza» nelle carceri italiane, stanziando fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre;
qualche mese dopo, anche in relazione all'esiguità delle risorse stanziate (in parte anche a detrimento dei fondi raccolti dalla Cassa delle ammende tra i detenuti per il loro reinserimento), il piano è stato ridotto a meno di 10.000 posti detentivi da realizzare entro il 2012;
anche se il Ministro della giustizia sostiene che nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati 2.000 posti detentivi, ad oggi nessun effetto del piano carceri si è prodotto; non si sa se quei 2.000 posti già realizzati siano parte del piano o di ampliamenti e ristrutturazioni già programmati da tempo, né se siano effettivamente operativi grazie alla disponibilità del personale necessario;
sempre nel gennaio 2010 il Ministro della giustizia Alfano prometteva l'imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio 2010 ribadiva l'impegno assunto, abbassando i reclutamenti «in prima battuta» a mille: sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari;
se il trend prima descritto dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, per aumentare ancora nel 2012, a fronte di un vertiginoso calo di agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
la polizia penitenziaria soffre, infatti, di paurose carenze. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 68.000 e l'organico amministrato raggiunge 37.348 unità (vi è un poliziotto ogni due detenuti, sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà). Da queste cifre bisogna sottrarre il personale non in servizio attivo, ossia 3.109 unità, a causa di malattia, aspettativa, motivi di salute o prepensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
anche il Sottosegretario per la giustizia Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che: «Il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
in molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze al riguardo, ma risulta inaccettabile, soprattutto, la differenza che si registra tra aree diverse del Paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle aziende sanitarie locali regionali, la situazione appare più grave;
anche le drammatiche condizioni di salute degli agenti e la stessa sicurezza degli istituti non possono essere ignorate dal Ministero della giustizia e dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'istituto femminile di Rebibbia (dove è addirittura iniziato lo sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire i turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute), sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento (368 detenute, a fronte di una capienza regolamentare prevista di 274 posti) e della gravissima carenza di personale, ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi dell'intero sistema carcerario nazionale;
non servono soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le emergenze: è ora di tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti, di fronte agli enormi rischi della protesta in atto va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
neanche la salute dei minori viene tutelata come si dovrebbe in tutti i 19 istituti penali minorili, in cui vive un piccolo esercito di 426 ragazzi fra i 14 e 18 anni. Due detenuti su tre sono in attesa di giudizio, il resto invece sta scontando la pena. La maggior parte sono stranieri, spesso rom. Ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del Sud;
non sono i numeri ad allarmare, ma un sistema che non è a misura di minore. Se la detenzione è diventata davvero l'estrema ratio dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, gli istituti penali minorili sono «contenitori di marginalità sociale», rivela «Ragazzi dentro», il primo rapporto sulle carceri minorili presentato il 24 marzo 2011 da Antigone;
il problema non riguarda solo le strutture perennemente con «lavori in corso», ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere rapporti con le famiglie;
le cifre fornite rappresentano il segno di una crisi che l'annunciato impegno del Governo non è riuscito a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. In questa situazione il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
infatti, di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Complessivamente, i suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009, mentre 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010;
come se non bastasse, da circa due anni i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni. La pianta organica ministeriale prevede 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. In servizio al 1o settembre 2010 risultavano 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, ossia circa un operatore ogni sessanta detenuti;
quanto descritto esprime, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, in corso di ratifica, ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri,
ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso iniziative volte alla riduzione dei tempi di custodia cautelare, alla rivalutazione delle misure alternative al carcere, alla riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché all'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
ad assicurare risorse idonee a conseguire un adeguamento dell'attuale pianta organica del personale di polizia penitenziaria al fine di affrontare la situazione emergenziale di cui in premessa;
ad adottare iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
a promuovere, per quanto di competenza, la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi;
ad accelerare, anche alla luce degli eventi più recenti, la stipula di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00614)
(Nuova formulazione) «Rao, Ria, Galletti, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Binetti, Capitanio Santolini, De Poli, Anna Teresa Formisano, Libè, Mantini, Tassone, Nunzio Francesco Testa».
(11 aprile 2011)
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