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Mercoledi',23 Marzo 2011: interrogazioni per l'assunzione degli educatori penitenziari
Mercoledi',23 Marzo 2011,
(rinvio del 16 Marzo 2011)
in commissione giustizia discussione delle interrogazioni orali per l'assunzione degli educatori penitenziari.
5-04298 Cassinelli: Sull’iter del concorso pubblico per educatore penitenziario
5-04314 Ferranti: Questioni relative all’assunzione dei vincitori del concorso per educatore penitenziario
Per leggere il testo delle interrogazioni vai su news giornaliere o etichetta interrogazioni parlamentari
(rinvio del 16 Marzo 2011)
in commissione giustizia discussione delle interrogazioni orali per l'assunzione degli educatori penitenziari.
5-04298 Cassinelli: Sull’iter del concorso pubblico per educatore penitenziario
5-04314 Ferranti: Questioni relative all’assunzione dei vincitori del concorso per educatore penitenziario
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Carceri:necessario assumere educatori,assistenti e psicologi.
26 agosto 2010
Giustizia: Bernardini (Radicali); basta morti in carcere, varare in fretta misure deflattive
“Il tempo dell’illegalità e dell’inciviltà carceraria italiana è scandito ad un ritmo impressionante dalle morti, dai suicidi. Dico al Governo e ai miei colleghi parlamentari che così numerosi hanno partecipato all’iniziativa del Ferragosto in carcere, che occorre fare in fretta a varare, intanto, misure adeguate a decongestionare la sovrappopolazione carceraria”. Lo afferma Rita Bernardini, deputata Radicale, membro della Commissione Giustizia della Camera, dopo la morte di un detenuto a Sulmona. “Il disegno di legge Alfano - così come svuotato dalla Commissione Giustizia della Camera - non serve a spegnere l’incendio di disperazione e di morte che sta divampando - prosegue.Affidare infatti ai Tribunali di sorveglianza la valutazione della pericolosità sociale e l’idoneità del domicilio per consentire di scontare ai domiciliari pene residue sotto i 12 mesi, significa paralizzare tutto: la valutazione arriverà troppo tardi! Si dia ai direttori degli istituti penitenziari questo compito che saprebbero fare meglio e più in fretta dei magistrati di sorveglianza. Ridimensionata almeno un po’ la popolazione detenuta, occorre immediatamente riformare il sistema come previsto dalle mozioni approvate in gennaio dalle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama a partire dallo stop all’uso indiscriminato della carcerazione preventiva e alla depenalizzazione dei reati minori, per arrivare alle misure e pene alternative che si rivelano molto più efficaci del carcere ai fini della rieducazione e del reinserimento sociale, all’adeguamento degli organici penitenziari (agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali), alle possibilità di lavoro per i detenuti, agli istituti di custodia attenuata dove i tossicodipendenti possano curarsi”.
5 luglio 2010
Carceri: Favi, "Bene Tg2, condizioni indegne per detenuti e lavoratori"
Dichiarazione di Sandro Favi responsabile Carceri del Partito Democratico
L’inchiesta del Tg2 sulla drammatica situazione delle nostre carceri evidenzia ciò che il Partito Democratico denuncia da mesi, e cioè condizioni di vita per i detenuti e per i lavoratori penitenziari del tutto indegne. Quelle viste all’Ucciardone sono situazioni che in realtà riguardano la stragrande maggioranza delle carceri italiane. Le morti in carcere e gli atti di autolesionismo sono segnali inequivocabili: occorre attuare da subito politiche penitenziarie che decongestionino gli istituti. È assolutamente necessario investire sulle misure alternative alla detenzione e sull’aumento di agenti di polizia penitenziaria, di educatori, di assistenti sociali e psicologi.
Finora il ministro Alfano e il direttore delle carceri Ionta hanno saputo solo ipotizzare un piano carceri che avrà lunghissimi tempi di realizzazione e che non inciderà minimamente per un miglioramento della situazione nell’immediato.
Così non va.
Lettere: senza assunzione personale educativo il ddl Alfano è inutile
Comunicato stampa, 29 maggio 2010
Ai deputati di commissione bilancio
e giustizia camera
Al sottosegretario
On. Caliendo
Al sottosegretario
On. Giorgetti Alberti
Egregi Onorevoli,
dopo aver appreso la notizia sul parere negativo della Commissione Bilancio sugli artt. 2 quater e 2 sexies del Ddl Alfano questo Comitato ritiene necessario porre alla Vostra attenzione alcune osservazioni. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru 2.060 svuoterebbe di significato il Ddl Alfano riducendolo ad una imago sine re.
L’investimento in risorse umane è propedeutico alla concreta materializzazione della normativa contenuta nel provvedimento. Secondo quanto enunciato dall’art. 1 comma 3 del Ddl. il magistrato di sorveglianza decide sulla base della relazione inviatagli dall’istituto penitenziario.
Alla luce della normativa penitenziaria è l’educatore colui che osserva il comportamento del detenuto e provvede alla stesura della relazione di sintesi, cioè di quella relazione di cui si servirà il magistrato di sorveglianza per la decisione finale sulla misura alternativa.
Senza l’incremento di ulteriori unità di personale pedagogico la situazione del sovraffollamento carcerario non potrà mai essere risolta né tantomeno potrà trovare risoluzione la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane.
Pochi educatori significa poche relazioni da inviare al magistrato di sorveglianza. Pochi educatori significa impossibilità di fare il trattamento. Pochi educatori significa stasi della concessione di misure alternative. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru creerebbe un vero e proprio effetto boomerang che provocherebbe la totale paralisi del Ddl Alfano.
La Commissione Giustizia dopo aver preso atto della grave situazione di disagio in cui versano le carceri italiani ha dato voce all’articolo 27 della Costituzione decidendo di investire su quello che già nel Settecento Beccaria definiva “il più sicuro mezzo di prevenire i delitti” ossia l’educazione.
L’approvazione dell’articolo aggiuntivo che esclude il Dap dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni costituisce una vera e propria presa di coscienza dell’assunto secondo il quale non può esserci alcun miglioramento delle condizioni di detenzione senza l’investimento in risorse umane.
Si evidenzia inoltre che l’emendamento è già stato “riformulato” originariamente infatti prevedeva l’obbligo per il governo,dopo l’invio della relazione per l’adeguamento della pianta organica, di predisporre entro 2 mesi un piano straordinario di assunzioni.
La totale eliminazione di questo emendamento volto alla concreta applicazione della misura alternativa sulla quale questo Governo intende puntare per risolvere il dramma del pianeta carcere renderebbe inutile l’approvazione di un Ddl che non riuscirebbe mai ad essere attuato.
Ci sarebbe infatti una vera e propria antinomia tra norma e realtà. La realtà è che la situazione carceraria italiana è drammatica e preoccupante.
I continui suicidi in carcere sono da porre in relazione con le insopportabili condizioni di disagio in cui vivono i reclusi delle carceri italiane alla carenza di trattamento e attività rieducative e alla mancata assistenza psicologica dovuta alla cronica carenza di personale educativo
Ebbene, l’Italia, Paese democratico, è stata condannata dalla Cedu per trattamento degradante e disumano. A tale situazione va data una risposta concreta, soprattutto se si considera che il bilancio dello stato potrebbe essere aggravato dalle condanne della Cedu (Sic!).
Inoltre non si comprende come la crisi riguardi solo le risorse umane e non anche lo stanziamento dei fondi per l’edilizia penitenziaria ,infatti, una volta costruite nuove carceri queste rimarranno inutilizzate (Sic!) Un esempio è fornito dal carcere di Agrigento e dal carcere di Rieti, a Pinerolo inoltre, c’è un carcere vuoto da 10 anni ma è già stata individuata un’area per costruir un nuovo carcere (fonte Girodivite).
Per un provvedimento importante, come quello in esame, che punta sulla rieducazione e sul recupero del reo, occorre assumersi delle responsabilità serie, perché l’incremento del personale pedagogico rappresenta il sine qua non della correlazione legge - realtà.
Ancora una volta si evidenzia inoltre che il “decantato” vulnus di copertura finanziaria può essere sanato attingendo dai fondi della Cassa delle Ammende che secondo quanto disposto dall’art 129 III comma del Dpr 30 giugno 2000, n. 230, devono essere destinati ai programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione”e non all’edilizia penitenziaria (Sic!) . Qualora il Governo non intenda attingere i fondi necessari dalla cassa delle Ammende potrebbe ricavarli dai fondi del Fug, visto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il decreto che assegna per la prima volta le quote delle risorse sequestrate alla mafia e i proventi derivanti dai beni confiscati al Fondo Unico Giustizia (Fug), nella misura del 50 per cento al Ministero dell’Interno e del 50 per cento al Ministero della Giustizia. Attingendo i fondi o dalla cassa delle Ammende o dal Fug non vi sarebbe alcun onere aggiuntivo in quanto gli stessi sono già previsti in bilancio.
Per le ragioni suesposte riteniamo che l’emendamento presentato dall’On. Donatella Ferranti e Schirru sia una vera proposta “bipartisan” che deve, necessariamente,trovare accoglimento così come è stato approvato in Commissione Giustizia.
Riteniamo altresì che il governo, dopo aver provveduto all’adeguamento della pianta organica anche in relazione alla popolazione detenuta ( quasi 70mila detenuti) debba predisporre un piano straordinario di assunzioni di educatori penitenziari da attingersi dalla vigente graduatoria del concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di Educatore, Area C, posizione economica C1, indetto con Pdg 21 novembre 2003.
Una scelta in tal senso rappresenterebbe la chiave di volta per un chiaro e ben preciso impegno di responsabilità affinché la drammatica situazione che affligge il pianeta carcere possa finalmente essere risolta. Per tali ragioni auspichiamo che tutta la commissione bilancio della camera e il sottosegretario Alberto Giorgetti facciano una seria e proficua riflessione riconoscendo l’importanza ai fini dell’attuazione del Ddl in esame dell’emendamento Schirru 2.060.
Giustizia: Bernardini (Radicali); basta morti in carcere, varare in fretta misure deflattive
“Il tempo dell’illegalità e dell’inciviltà carceraria italiana è scandito ad un ritmo impressionante dalle morti, dai suicidi. Dico al Governo e ai miei colleghi parlamentari che così numerosi hanno partecipato all’iniziativa del Ferragosto in carcere, che occorre fare in fretta a varare, intanto, misure adeguate a decongestionare la sovrappopolazione carceraria”. Lo afferma Rita Bernardini, deputata Radicale, membro della Commissione Giustizia della Camera, dopo la morte di un detenuto a Sulmona. “Il disegno di legge Alfano - così come svuotato dalla Commissione Giustizia della Camera - non serve a spegnere l’incendio di disperazione e di morte che sta divampando - prosegue.Affidare infatti ai Tribunali di sorveglianza la valutazione della pericolosità sociale e l’idoneità del domicilio per consentire di scontare ai domiciliari pene residue sotto i 12 mesi, significa paralizzare tutto: la valutazione arriverà troppo tardi! Si dia ai direttori degli istituti penitenziari questo compito che saprebbero fare meglio e più in fretta dei magistrati di sorveglianza. Ridimensionata almeno un po’ la popolazione detenuta, occorre immediatamente riformare il sistema come previsto dalle mozioni approvate in gennaio dalle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama a partire dallo stop all’uso indiscriminato della carcerazione preventiva e alla depenalizzazione dei reati minori, per arrivare alle misure e pene alternative che si rivelano molto più efficaci del carcere ai fini della rieducazione e del reinserimento sociale, all’adeguamento degli organici penitenziari (agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali), alle possibilità di lavoro per i detenuti, agli istituti di custodia attenuata dove i tossicodipendenti possano curarsi”.
5 luglio 2010
Carceri: Favi, "Bene Tg2, condizioni indegne per detenuti e lavoratori"
Dichiarazione di Sandro Favi responsabile Carceri del Partito Democratico
L’inchiesta del Tg2 sulla drammatica situazione delle nostre carceri evidenzia ciò che il Partito Democratico denuncia da mesi, e cioè condizioni di vita per i detenuti e per i lavoratori penitenziari del tutto indegne. Quelle viste all’Ucciardone sono situazioni che in realtà riguardano la stragrande maggioranza delle carceri italiane. Le morti in carcere e gli atti di autolesionismo sono segnali inequivocabili: occorre attuare da subito politiche penitenziarie che decongestionino gli istituti. È assolutamente necessario investire sulle misure alternative alla detenzione e sull’aumento di agenti di polizia penitenziaria, di educatori, di assistenti sociali e psicologi.
Finora il ministro Alfano e il direttore delle carceri Ionta hanno saputo solo ipotizzare un piano carceri che avrà lunghissimi tempi di realizzazione e che non inciderà minimamente per un miglioramento della situazione nell’immediato.
Così non va.
Lettere: senza assunzione personale educativo il ddl Alfano è inutile
Comunicato stampa, 29 maggio 2010
Ai deputati di commissione bilancio
e giustizia camera
Al sottosegretario
On. Caliendo
Al sottosegretario
On. Giorgetti Alberti
Egregi Onorevoli,
dopo aver appreso la notizia sul parere negativo della Commissione Bilancio sugli artt. 2 quater e 2 sexies del Ddl Alfano questo Comitato ritiene necessario porre alla Vostra attenzione alcune osservazioni. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru 2.060 svuoterebbe di significato il Ddl Alfano riducendolo ad una imago sine re.
L’investimento in risorse umane è propedeutico alla concreta materializzazione della normativa contenuta nel provvedimento. Secondo quanto enunciato dall’art. 1 comma 3 del Ddl. il magistrato di sorveglianza decide sulla base della relazione inviatagli dall’istituto penitenziario.
Alla luce della normativa penitenziaria è l’educatore colui che osserva il comportamento del detenuto e provvede alla stesura della relazione di sintesi, cioè di quella relazione di cui si servirà il magistrato di sorveglianza per la decisione finale sulla misura alternativa.
Senza l’incremento di ulteriori unità di personale pedagogico la situazione del sovraffollamento carcerario non potrà mai essere risolta né tantomeno potrà trovare risoluzione la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane.
Pochi educatori significa poche relazioni da inviare al magistrato di sorveglianza. Pochi educatori significa impossibilità di fare il trattamento. Pochi educatori significa stasi della concessione di misure alternative. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru creerebbe un vero e proprio effetto boomerang che provocherebbe la totale paralisi del Ddl Alfano.
La Commissione Giustizia dopo aver preso atto della grave situazione di disagio in cui versano le carceri italiani ha dato voce all’articolo 27 della Costituzione decidendo di investire su quello che già nel Settecento Beccaria definiva “il più sicuro mezzo di prevenire i delitti” ossia l’educazione.
L’approvazione dell’articolo aggiuntivo che esclude il Dap dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni costituisce una vera e propria presa di coscienza dell’assunto secondo il quale non può esserci alcun miglioramento delle condizioni di detenzione senza l’investimento in risorse umane.
Si evidenzia inoltre che l’emendamento è già stato “riformulato” originariamente infatti prevedeva l’obbligo per il governo,dopo l’invio della relazione per l’adeguamento della pianta organica, di predisporre entro 2 mesi un piano straordinario di assunzioni.
La totale eliminazione di questo emendamento volto alla concreta applicazione della misura alternativa sulla quale questo Governo intende puntare per risolvere il dramma del pianeta carcere renderebbe inutile l’approvazione di un Ddl che non riuscirebbe mai ad essere attuato.
Ci sarebbe infatti una vera e propria antinomia tra norma e realtà. La realtà è che la situazione carceraria italiana è drammatica e preoccupante.
I continui suicidi in carcere sono da porre in relazione con le insopportabili condizioni di disagio in cui vivono i reclusi delle carceri italiane alla carenza di trattamento e attività rieducative e alla mancata assistenza psicologica dovuta alla cronica carenza di personale educativo
Ebbene, l’Italia, Paese democratico, è stata condannata dalla Cedu per trattamento degradante e disumano. A tale situazione va data una risposta concreta, soprattutto se si considera che il bilancio dello stato potrebbe essere aggravato dalle condanne della Cedu (Sic!).
Inoltre non si comprende come la crisi riguardi solo le risorse umane e non anche lo stanziamento dei fondi per l’edilizia penitenziaria ,infatti, una volta costruite nuove carceri queste rimarranno inutilizzate (Sic!) Un esempio è fornito dal carcere di Agrigento e dal carcere di Rieti, a Pinerolo inoltre, c’è un carcere vuoto da 10 anni ma è già stata individuata un’area per costruir un nuovo carcere (fonte Girodivite).
Per un provvedimento importante, come quello in esame, che punta sulla rieducazione e sul recupero del reo, occorre assumersi delle responsabilità serie, perché l’incremento del personale pedagogico rappresenta il sine qua non della correlazione legge - realtà.
Ancora una volta si evidenzia inoltre che il “decantato” vulnus di copertura finanziaria può essere sanato attingendo dai fondi della Cassa delle Ammende che secondo quanto disposto dall’art 129 III comma del Dpr 30 giugno 2000, n. 230, devono essere destinati ai programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione”e non all’edilizia penitenziaria (Sic!) . Qualora il Governo non intenda attingere i fondi necessari dalla cassa delle Ammende potrebbe ricavarli dai fondi del Fug, visto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il decreto che assegna per la prima volta le quote delle risorse sequestrate alla mafia e i proventi derivanti dai beni confiscati al Fondo Unico Giustizia (Fug), nella misura del 50 per cento al Ministero dell’Interno e del 50 per cento al Ministero della Giustizia. Attingendo i fondi o dalla cassa delle Ammende o dal Fug non vi sarebbe alcun onere aggiuntivo in quanto gli stessi sono già previsti in bilancio.
Per le ragioni suesposte riteniamo che l’emendamento presentato dall’On. Donatella Ferranti e Schirru sia una vera proposta “bipartisan” che deve, necessariamente,trovare accoglimento così come è stato approvato in Commissione Giustizia.
Riteniamo altresì che il governo, dopo aver provveduto all’adeguamento della pianta organica anche in relazione alla popolazione detenuta ( quasi 70mila detenuti) debba predisporre un piano straordinario di assunzioni di educatori penitenziari da attingersi dalla vigente graduatoria del concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di Educatore, Area C, posizione economica C1, indetto con Pdg 21 novembre 2003.
Una scelta in tal senso rappresenterebbe la chiave di volta per un chiaro e ben preciso impegno di responsabilità affinché la drammatica situazione che affligge il pianeta carcere possa finalmente essere risolta. Per tali ragioni auspichiamo che tutta la commissione bilancio della camera e il sottosegretario Alberto Giorgetti facciano una seria e proficua riflessione riconoscendo l’importanza ai fini dell’attuazione del Ddl in esame dell’emendamento Schirru 2.060.
FERRANTI SU DDL CARCERI,OTTENUTO ANCHE AMPLIAMENTO ORGANICO EDUCATORI PENITENZIARI.
Donatella Ferranti,PD:piano programmato di assunzioni del personale degli educatori.
Governo favorevole a emendamenti Pd per potenziamento personale penitenziario:piano programmato di assunzioni, per l`adeguamento degli organici del personale di Polizia penitenziaria, degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi.
18 maggio 2010
La commissione Giustizia della Camera ha cominciato a votare gli emendamenti presentati al ddl carceri e il Governo ha dato parere favorevole alle proposte di modifica del Pd che prevedevano il potenziamento del personale civile e amministrativo penitenziario (psicologi, educatori, ecc) e l’adeguamento delle piante organiche di carabinieri e polizia in funzione del nuovo impegno che dovranno svolgere per vigilare sui detenuti che trascorreranno agli arresti domiciliari l’ultimo periodo della loro detenzione. Il capogruppo del Pd in commissione giustizia, Donatella Ferranti, ha espresso soddisfazione per questo parere favorevole del Governo augurandosi che alla fine l’emendamento venga approvato.
Pd: nostre proposte sono su linea indicata da Napolitano
“Il Pd è pronto” a rispondere al monito del presidente della Repubblica sulla necessità di risolvere il sovraffollamento delle carceri e “a fare la propria parte”. Per questo, annuncia Sandro Favi, responsabile Carceri dei democratici, “nei prossimi giorni il nostro partito presenterà proposte su questi temi, in un quadro di sistema e in continuità e sviluppo delle mozioni approvate dal Parlamento già nei primi mesi di quest`anno”.
“Proporremo - spiega Favi - che si proceda alla revisione del codice penale, che vengano riviste le norme che determinano l`alta incidenza di imputati in custodia cautelare in carcere e quelle sul trattamento penale dei tossicodipendenti, che siano ampliate le opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione. Chiederemo inoltre al Governo - prosegue - un piano programmato di assunzioni, per l`adeguamento degli organici del personale di Polizia penitenziaria, degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, nonché gli indispensabili stanziamenti ed investimenti per ripristinare la corretta funzionalità ed operatività dei servizi e delle strutture”.
“Il Partito Democratico - conclude l’esponente del Pd - rinnova la stima e la fiducia degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e l`apprezzamento verso i dirigenti dell`Amministrazione penitenziaria, verso le professionalità socio-educative, sanitarie, amministrative e tecniche che, in questa fase difficile, dimostrano il proprio impegno con alto senso di umanità e qualificate competenze”.
18 maggio 2010
La commissione Giustizia della Camera ha cominciato a votare gli emendamenti presentati al ddl carceri e il Governo ha dato parere favorevole alle proposte di modifica del Pd che prevedevano il potenziamento del personale civile e amministrativo penitenziario (psicologi, educatori, ecc) e l’adeguamento delle piante organiche di carabinieri e polizia in funzione del nuovo impegno che dovranno svolgere per vigilare sui detenuti che trascorreranno agli arresti domiciliari l’ultimo periodo della loro detenzione. Il capogruppo del Pd in commissione giustizia, Donatella Ferranti, ha espresso soddisfazione per questo parere favorevole del Governo augurandosi che alla fine l’emendamento venga approvato.
Pd: nostre proposte sono su linea indicata da Napolitano
“Il Pd è pronto” a rispondere al monito del presidente della Repubblica sulla necessità di risolvere il sovraffollamento delle carceri e “a fare la propria parte”. Per questo, annuncia Sandro Favi, responsabile Carceri dei democratici, “nei prossimi giorni il nostro partito presenterà proposte su questi temi, in un quadro di sistema e in continuità e sviluppo delle mozioni approvate dal Parlamento già nei primi mesi di quest`anno”.
“Proporremo - spiega Favi - che si proceda alla revisione del codice penale, che vengano riviste le norme che determinano l`alta incidenza di imputati in custodia cautelare in carcere e quelle sul trattamento penale dei tossicodipendenti, che siano ampliate le opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione. Chiederemo inoltre al Governo - prosegue - un piano programmato di assunzioni, per l`adeguamento degli organici del personale di Polizia penitenziaria, degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, nonché gli indispensabili stanziamenti ed investimenti per ripristinare la corretta funzionalità ed operatività dei servizi e delle strutture”.
“Il Partito Democratico - conclude l’esponente del Pd - rinnova la stima e la fiducia degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e l`apprezzamento verso i dirigenti dell`Amministrazione penitenziaria, verso le professionalità socio-educative, sanitarie, amministrative e tecniche che, in questa fase difficile, dimostrano il proprio impegno con alto senso di umanità e qualificate competenze”.
Ferranti: "Iter rapido? Vediamo atteggiamento maggioranza su nostre proposte"
Carceri: Pd, "Testo migliorato in commissione, ma serve uno sforzo in più" Ferranti: "Iter rapido? Vediamo atteggiamento maggioranza su nostre proposte"
“Lo stralcio della messa in prova consentirà di esaminare rapidamente il provvedimento sulla detenzione domiciliare”. Lo dichiara la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti facendo notare come ‘la messa in prova non riguardava la popolazione carceraria e quindi non avrebbe avuto effetti sul grave stato di sovraffollamento delle carceri italiane. In ogni caso – sottolinea la democratica – il voto di oggi conferma il nostro giudizio negativo sul testo uscito dal consiglio dei ministri che era confuso ed inefficace anche perché privo di qualsiasi copertura finanziaria. Stiamo adesso valutando se aderire o meno alla richiesta di un voto in sede legislativa sul testo modificato nel corso dei lavori in commissione. La nostra disponibilità dipenderà anche dall’atteggiamento della maggioranza sulle nostre ulteriori proposte di modifica. In particolare: la tutela delle vittime di violenza domestica, il rafforzamento del personale di polizia (non solo quella penitenziaria) e del personale del comparto civile dell’amministrazione penitenziaria(educatori e psicologi)”.
Proposta emendativa 8.01.
Dopo l'articolo 8 inserire il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della Giustizia, sentiti i Ministri dell'interno e della funzione pubblica, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica del Corpo di Polizia penitenziaria e del personale del comparto civile del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria anche in relazione all'entità numerica della popolazione carceraria e al numero dei posti esistenti e programmati.
2. A tal fine il Governo presenta al Parlamento entro i successivi novanta giorni un apposito piano straordinario di assunzioni di nuove unità specificandone i tempi di attuazione e le modalità di finanziamento.».
Ferranti Donatella, Schirru Amalia, Samperi Marilena, Amici Sesa
Proposta emendativa 8.03.
Dopo l'articolo 8 inserire il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Al comma 8-quinquies, della legge n. 26 del 2010, dopo le parole Il Corpo della Polizia penitenziaria, sono inserite le seguenti il personale del comparto civile del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria,».
Schirru Amalia, Ferranti Donatella, Samperi Marilena, Amici Sesa
28-04-10
Dopo l'ennesimo suicidio in carcere (23 dall'inizio dell'anno), nel penitenziario di Castrogno, a Teramo, il parlamentare dell'IdV, Augusto Di Stanislao, ribadisce la necessita' di interventi diretti ed immediati da parte del Governo. ''Non e' piu' ammissibile - afferma il deputato IdV - una tale situazione di completa incapacita' da parte del Governo di affrontare concretamente le problematiche delle carceri in Italia''. Di Stanislao ricorda che ''dopo varie visite presso il carcere di Castrogno e altrettante interrogazioni ad Alfano, dopo una mozione a mia prima firma approvata all'unanimita', con la quale anche la maggioranza si e' impegnata in una serie di iniziative atte a risollevare una drammatica realta' focalizzando l'attenzione sul sovraffollamento e sulla carenza di personale penitenziario e di educatori, dopo l'annuncio dell'emergenza carceri di Alfano e del fantomatico piano carceri, dopo continue denunce e sollecitazioni dei sindacati sulla necessita' di intervenire sulle strutture, sugli organici, siamo ancora di fronte ad una situazione insostenibile e all'emergenza soluzioni''. ''Ho presentato da tempo - conclude Di Stanislao - una proposta di legge per istituire una Commissione d'inchiesta parlamentare sulla situazione delle carceri in Italia che, ora piu' che mai, diventa fondamentale per dare risposte e soluzioni ai molteplici problemi e disagi dell'intero mondo penitenziario''.
Di Stanislao:il ministro tace sulle assunzioni degli educatori,riferisca in parlamento.
“E’ giusta l’assunzione di 2.000 agenti così come evidenziato da Sarno, Segretario generale Uil Pa Penitenziari, per garantire il turnover e quindi supplire la carenza del personale di polizia penitenziaria, ma vi è una colpevole dimenticanza da parte del Ministro quando tace sulla necessità di garantire la presenza degli educatori così come previsto nella Mozione IdV approvata all’unanimità dal Parlamento.” Queste le parole dell’On. Di Stanislao che prosegue: “Non vorremmo che questo impegno del Ministro si focalizzi esclusivamente sull’edilizia carceraria e altresì non vorremmo che dietro la parola magica “stato di emergenza” si celi il grimaldello per ridare vita ad una ” Carceri d’oro 2″ che in barba alla procedure di appalti e alla trasparenza abbiano buon gioco, piuttosto che la pubblica utilità e l’urgenza, i furbetti delle sponsorizzazioni. Si segnala al Ministro, nel frattempo, che in Italia vi sono 40 penitenziari incompiuti ed inutilizzati in un Paese che ne ha 171 in tutto e nel Piano Carceri presentato non c’è cenno di recupero di questo patrimonio. Chiedo che il Ministro venga, così come richiesto in Aula, a riferire in Parlamento sugli impegni presi in relazione ai tempi e modi e risorse da impiegare. Nel frattempo con due distinte interrogazioni chiedo al Ministro quale modello di recupero intenda mettere in campo visto che non si parla assolutamente di assumere gli educatori e cosa intenda fare per i 40 penitenziari incompiuti.”
“Lo stralcio della messa in prova consentirà di esaminare rapidamente il provvedimento sulla detenzione domiciliare”. Lo dichiara la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti facendo notare come ‘la messa in prova non riguardava la popolazione carceraria e quindi non avrebbe avuto effetti sul grave stato di sovraffollamento delle carceri italiane. In ogni caso – sottolinea la democratica – il voto di oggi conferma il nostro giudizio negativo sul testo uscito dal consiglio dei ministri che era confuso ed inefficace anche perché privo di qualsiasi copertura finanziaria. Stiamo adesso valutando se aderire o meno alla richiesta di un voto in sede legislativa sul testo modificato nel corso dei lavori in commissione. La nostra disponibilità dipenderà anche dall’atteggiamento della maggioranza sulle nostre ulteriori proposte di modifica. In particolare: la tutela delle vittime di violenza domestica, il rafforzamento del personale di polizia (non solo quella penitenziaria) e del personale del comparto civile dell’amministrazione penitenziaria(educatori e psicologi)”.
Proposta emendativa 8.01.
Dopo l'articolo 8 inserire il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della Giustizia, sentiti i Ministri dell'interno e della funzione pubblica, riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica del Corpo di Polizia penitenziaria e del personale del comparto civile del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria anche in relazione all'entità numerica della popolazione carceraria e al numero dei posti esistenti e programmati.
2. A tal fine il Governo presenta al Parlamento entro i successivi novanta giorni un apposito piano straordinario di assunzioni di nuove unità specificandone i tempi di attuazione e le modalità di finanziamento.».
Ferranti Donatella, Schirru Amalia, Samperi Marilena, Amici Sesa
Proposta emendativa 8.03.
Dopo l'articolo 8 inserire il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Al comma 8-quinquies, della legge n. 26 del 2010, dopo le parole Il Corpo della Polizia penitenziaria, sono inserite le seguenti il personale del comparto civile del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria,».
Schirru Amalia, Ferranti Donatella, Samperi Marilena, Amici Sesa
28-04-10
Dopo l'ennesimo suicidio in carcere (23 dall'inizio dell'anno), nel penitenziario di Castrogno, a Teramo, il parlamentare dell'IdV, Augusto Di Stanislao, ribadisce la necessita' di interventi diretti ed immediati da parte del Governo. ''Non e' piu' ammissibile - afferma il deputato IdV - una tale situazione di completa incapacita' da parte del Governo di affrontare concretamente le problematiche delle carceri in Italia''. Di Stanislao ricorda che ''dopo varie visite presso il carcere di Castrogno e altrettante interrogazioni ad Alfano, dopo una mozione a mia prima firma approvata all'unanimita', con la quale anche la maggioranza si e' impegnata in una serie di iniziative atte a risollevare una drammatica realta' focalizzando l'attenzione sul sovraffollamento e sulla carenza di personale penitenziario e di educatori, dopo l'annuncio dell'emergenza carceri di Alfano e del fantomatico piano carceri, dopo continue denunce e sollecitazioni dei sindacati sulla necessita' di intervenire sulle strutture, sugli organici, siamo ancora di fronte ad una situazione insostenibile e all'emergenza soluzioni''. ''Ho presentato da tempo - conclude Di Stanislao - una proposta di legge per istituire una Commissione d'inchiesta parlamentare sulla situazione delle carceri in Italia che, ora piu' che mai, diventa fondamentale per dare risposte e soluzioni ai molteplici problemi e disagi dell'intero mondo penitenziario''.
Di Stanislao:il ministro tace sulle assunzioni degli educatori,riferisca in parlamento.
“E’ giusta l’assunzione di 2.000 agenti così come evidenziato da Sarno, Segretario generale Uil Pa Penitenziari, per garantire il turnover e quindi supplire la carenza del personale di polizia penitenziaria, ma vi è una colpevole dimenticanza da parte del Ministro quando tace sulla necessità di garantire la presenza degli educatori così come previsto nella Mozione IdV approvata all’unanimità dal Parlamento.” Queste le parole dell’On. Di Stanislao che prosegue: “Non vorremmo che questo impegno del Ministro si focalizzi esclusivamente sull’edilizia carceraria e altresì non vorremmo che dietro la parola magica “stato di emergenza” si celi il grimaldello per ridare vita ad una ” Carceri d’oro 2″ che in barba alla procedure di appalti e alla trasparenza abbiano buon gioco, piuttosto che la pubblica utilità e l’urgenza, i furbetti delle sponsorizzazioni. Si segnala al Ministro, nel frattempo, che in Italia vi sono 40 penitenziari incompiuti ed inutilizzati in un Paese che ne ha 171 in tutto e nel Piano Carceri presentato non c’è cenno di recupero di questo patrimonio. Chiedo che il Ministro venga, così come richiesto in Aula, a riferire in Parlamento sugli impegni presi in relazione ai tempi e modi e risorse da impiegare. Nel frattempo con due distinte interrogazioni chiedo al Ministro quale modello di recupero intenda mettere in campo visto che non si parla assolutamente di assumere gli educatori e cosa intenda fare per i 40 penitenziari incompiuti.”
16 Marzo 2010:interrogazione a risposta in Commissione su assunzione idonei educatori penitenziari
Convocazione della II Commissione (Giustizia)
Martedì 16 marzo 2010
Ore 13.45
5-02550 Ferranti: In relazione all’assunzione di educatori penitenziari
Interrogazione a risposta in Commissione:
FERRANTI, MELIS, TIDEI e SAMPERI.
- Al Ministro della giustizia.
- Per sapere
- premesso che:
il 17 febbraio 2010 il Sottosegretario per la giustizia Caliendo è intervenuto in Senato sul tema dell'assunzione degli educatori penitenziari reclutati tramite il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1, indetto con PDG 21 novembre 2003;
nel corso della succitata seduta, il Sottosegretario Caliendo ha affermato che entro aprile 2010 saranno assunti in via definitiva tutti gli educatori che hannosuperato i precedenti concorsi, oltre ai 170 già assunti (anche se agli interroganti risulta che siano stati assunti 97 educatori);
in realtà, l'assunzione dei vincitori del suddetto concorso era già programmata con l'indizione dello stesso nel 2003, per il quale il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria già disponeva dei fondi necessari;
lo stesso Ministro interrogato, onorevole Alfano, aveva riconosciuto l'improcrastinabilità e l'urgenza di assumere più unità di educatori quando, il 12 gennaio 2010, furono approvate alla Camera le mozioni sui problemi del carcere presentate da vari gruppi parlamentari;a fronte di una popolazione carceraria di 67.000 unità, il rapporto educatore/detenuto è di circa 1 a 1.000, cosa che rende in pratica impossibile lo svolgimento di qualsivoglia progetto rieducativo impedendo il corretto reinserimento del detenuto nel tessuto sociale, così come previsto nel dettato costituzionale;
non avendo il Ministro interrogato ancora proceduto all'assunzione di ulteriori unità degli educatori, limitandosi a rimandare la questione ad un futuro confronto in merito con i Ministri Tremonti e Brunetta, sarebbe auspicabile ed urgente un rapido avvio della procedura di assunzione di educatori, almeno per completare la già esigua pianta organica, ulteriormente ridotta di circa 400 unità dal decreto legislativo n. 150 del 2009
se non ritenga opportuno procedere celermente all'assunzione di educatori attingendo dalla vigente graduatoria degli idonei risultante dal concorso pubblico a 397 posti di cui in premessa, al contempo prorogando la validità della stessa per almeno un quinquennio, al fine di permetterne lo scorrimento graduale per compensare il turn-over pensionistico, evitando l'indizione di nuovi concorsi che comporterebbe ulteriori oneri finanziari.
(5-02550)
Risposta all'interrogazione di Donatella Ferranti:dal 2011 assunzioni degli idonei educatori concorso,il comitato vigilera'.
Nel rispondere agli On. interroganti ritengo opportuno segnalare che il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo di "Educatore", Area C, posizione economica C1, dell'Amministrazione Penitenziaria, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16.4.2004 - IV serie speciale e si è concluso in data 9 luglio 2008.La graduatoria definitiva, immediatamente dopo l'approvazione del Direttore Generale con provvedimento dell'11 luglio 2008, è stata trasmessa all'Ufficio centrale per il bilancio per l'apposizione del visto di controllo.Nell'anno 2009, in ragione dell'entità dei fondi stanziati ai sensi dell'articolo 1, comma 346, della Legge 24.12.2007 n. 244, è stato possibile procedere all'assunzione dei primi 103 vincitori del predetto concorso a 397 posti.Quanto alle restanti 294 unità, la competente Direzione Generale di questa amministrazione ha già programmato il relativo piano di assunzione ricorrendo, per la copertura degli originari 397 posti a concorso, allo scorrimento della graduatoria, ai sensi dell'art. 15, co. 7, DPR n. 487/99 e successive integrazioni e modificazioni.I nuovi educatori - alcuni dei quali individuati tra i candidati idonei, ma non vincitori del concorso, attese le 12 defezioni intervenute per rinunce, mancate stipule del contratto o dimissioni da parte degli aventi diritto - hanno infatti già scelto la sede di destinazione e, entro aprile del corrente anno, saranno formalmente assunti con firma del relativo contratto.Per quanto riguarda, invece, l'auspicata possibilità di procedere ad un ulteriore scorrimento della graduatoria oltre il numero dei posti originariamente messi a concorso, mi corre l'obbligo di segnalare che tale eventualità non rientra tra le ipotesi di cui all'art. 15, co. 7, del DPR n. 487/1994 e che pertanto, limitatamente all'anno in corso, non può essere attuata per mancato stanziamento dei fondi occorrenti.I fondi disponibili, infatti, sono stati impegnati sia per l'assunzione dei vincitori del suddetto concorso per educatori, sia per l'assunzione degli idonei al concorso a 110 posti di contabile, a copertura dei posti previsti dal relativo bando ed in ragione delle gravi carenze riscontrate anche nell'area contabile.Dato atto di quanto sopra e, premesso che la validità delle graduatorie è indicata in tre anni dalla data della pubblicazione nei Bollettini ufficiali, faccio presente che, nel caso di specie, la validità della graduatoria del concorso a 397 posti è fissata al 31 maggio 2012 e che, pertanto, a partire dal prossimo anno, in presenza delle risorse economiche necessarie, potranno esservi le condizioni per procedere ad uno scorrimento della graduatoria, anche oltre il numero dei posti pubblicati.
24 febbraio 2010:
ordine del giorno su non riduzione organico educatori di Roberto Rao
La Camera,
premesso che
il provvedimento in esame prevede, all'esito del processo di riorganizzazione di cui all'articolo 74, del decreto legge n. 112 del 2008, un'ulteriore riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche ai fini del contenimento della spesa pubblica;
il comma 8-quinquies dell'articolo 2 individua le amministrazioni che non sono interessate dalle riduzioni descritte, tra cui il Corpo di Polizia Penitenziaria;
nonostante le difficoltà operative, la scarsezza di mezzi e personale risulta, inopinatamente escluso da tale previsione il personale civile del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte ad includere tra il personale delle amministrazioni non interessate dalla riorganizzazione delle piante organiche non solo quello di polizia penitenziaria ma anche quello civile del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con particolare riferimento alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, anche in vista dell'avvio del Piano carceri che necessiterà di adeguate risorse umane e professionali. 9/3210/41. Rao, Ria.
Accolto come raccomandazione.
19 Febbraio 2010:
ordine del giorno su assunzione educatori di Donatella Ferranti e PD
La Camera,
premesso che:
l'articolo 17-ter stabilisce che, per l'attuazione del cosiddetto «Piano carceri» si conferiscono pieni poteri al Commissario straordinario che, per individuare la localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie, d'intesa con il Presidente della regione territorialmente competente e sentiti i sindaci dei comuni interessati, potrà agire in deroga alla normativa urbanistica vigente, velocizzando procedure e semplificando le gare di appalto, utilizzando il modello adottato per il dopo terremoto a L'Aquila, derogando anche all'obbligo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, volto a consentire agli interessati, proprietari delle aree che si intendono espropriare, la necessaria partecipazione al procedimento amministrativo;
la localizzazione costituisce di per sé variante e produce l'effetto di imporre il vincolo preordinato all'espropriazione e contro di essa non sarà possibile ricorrere al giudice amministrativo e si introduce anche una deroga al limite dei subappalti, che potranno aumentare dall'attuale 30 per cento fino al 50 per cento, in deroga all'articolo 118 del codice dei contratti pubblici; in sostanza, si affidano pieni poteri al Commissario straordinario, che potrà avvalersi anche del Dipartimento per la protezione civile per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzioni lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali, in deroga ai criteri di trasparenza e pubblicità e in palese contraddizione con la mozione Franceschini ed altri n. 1-00302 (approvata sostanzialmente all'unanimità alla Camera il 12 gennaio di quest'anno e accettata dal Governo) che impegnava chiaramente il Governo a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere evitando il ricorso a procedure straordinarie, anche se legislativamente previste,
impegna il Governo
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale.
9/3196/13.
Donatella Ferranti.
Il comitato vincitori idonei concorso educatori dap in sostegno di Rita Bernadini
Educatori penitenziari sostengono la protesta di Rita Bernardini e Irene TestaRistretti Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori condivide e sostiene l’iniziativa non violenta intrapresa da Irene Testa e Rita Bernardini.Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori condivide e sostiene l’iniziativa non violenta intrapresa da Irene Testa e Rita Bernardini, impegnate in uno sciopero della fame perrichiedere l’esecuzione immediata di quanto proposto nelle cinque Mozioni parlamentari,unanimemente approvate nei giorni 11 e 12 gennaio 2010, riguardanti la situazione del sistema carcerario italiano.Giova ricordare che in quella occasione lo stesso Ministro Alfano assumeva precisi impegni ed affermava che vi avrebbe dato celere e certa attuazione sancendo l’inizio di un nuovo percorso,iniziato con la dichiarazione di Emergenza di tutto il sistema penitenziario alla quale ci si aspettava sarebbe seguita la predisposizione nel Piano Carceri di tutti quegli atti necessari ad ottemperare a quanto detto nelle citate Mozioni per poter, nei tempi strettamente necessari, affrontareconcretamente e efficacemente l´ormai ingestibile situazione creatasi nei nostri istituti penitenziari.Tuttavia, da un’iniziale analisi condotta sui primissimi elementi costitutivi e organizzativi del Piano Carceri emerge solo una particolare attenzione all’aspetto strutturale e custodiale, non prevedendo,invece, alcun intervento per incrementare e favorire la fondamentale componente rieducativa, vero obiettivo dell’esperienza carceraria.Questo Comitato ed altri illustri interlocutori del mondo penitenziario, continuano, infatti, a chiedere a gran voce che vengano assunti più educatori, affinché l’ingresso nelle nostre carceri non si limiti ad un forzato ozio, ma divenga precipuo momento di riflessione e riprogettazione del sé.Ad oggi, però, in merito alla questione degli educatori, alcuna volontà specifica è stata espressa dal Ministro, nonostante, le nostre carceri continuino quotidianamente ad affollarsi a causa dei numerosi nuovi ingressi, ma anche per la spaventosa carenza di educatori che, secondo quanto stabilito dalle vigenti leggi, rappresentano i coordinatori e i realizzatori materiali dei percorsirieducativi, nonché quelle figure professionali atte a garantire, nei giusti modi e nei tempi,l’espletamento, dell’intero iter necessario all’accesso alle misure alternative alla detenzione di quei detenuti che ne avrebbero i requisiti, ma che continuano a restare in carcere a causa dello sparuto numero di educatori attualmente in servizio a fronte di una popolazione di 66.000 persone carcerate.Pertanto, ci uniamo all´Onorevole Bernardini e a Irene Testa per chiedere l´immediata esecuzione delle citate mozioni e auspichiamo che il Ministro Alfano ne predisponga repentinamente l’avvio.Il Comitato, altresì, ad ausilio dell’iniziativa intrapresa da Rita Bernardini e da Irene Testa,promuove una “catena di informazione solidale” impegnandosi a diffondere la conoscenza di tale protesta non violenta tramite l’invio di questo comunicato non solo a tutti gli organi di informazione, ma anche ai propri conoscenti invitandoli a fare altrettanto.Il Comitato vincitori e idonei concorso educatori.
Martedì 16 marzo 2010
Ore 13.45
5-02550 Ferranti: In relazione all’assunzione di educatori penitenziari
Interrogazione a risposta in Commissione:
FERRANTI, MELIS, TIDEI e SAMPERI.
- Al Ministro della giustizia.
- Per sapere
- premesso che:
il 17 febbraio 2010 il Sottosegretario per la giustizia Caliendo è intervenuto in Senato sul tema dell'assunzione degli educatori penitenziari reclutati tramite il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1, indetto con PDG 21 novembre 2003;
nel corso della succitata seduta, il Sottosegretario Caliendo ha affermato che entro aprile 2010 saranno assunti in via definitiva tutti gli educatori che hannosuperato i precedenti concorsi, oltre ai 170 già assunti (anche se agli interroganti risulta che siano stati assunti 97 educatori);
in realtà, l'assunzione dei vincitori del suddetto concorso era già programmata con l'indizione dello stesso nel 2003, per il quale il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria già disponeva dei fondi necessari;
lo stesso Ministro interrogato, onorevole Alfano, aveva riconosciuto l'improcrastinabilità e l'urgenza di assumere più unità di educatori quando, il 12 gennaio 2010, furono approvate alla Camera le mozioni sui problemi del carcere presentate da vari gruppi parlamentari;a fronte di una popolazione carceraria di 67.000 unità, il rapporto educatore/detenuto è di circa 1 a 1.000, cosa che rende in pratica impossibile lo svolgimento di qualsivoglia progetto rieducativo impedendo il corretto reinserimento del detenuto nel tessuto sociale, così come previsto nel dettato costituzionale;
non avendo il Ministro interrogato ancora proceduto all'assunzione di ulteriori unità degli educatori, limitandosi a rimandare la questione ad un futuro confronto in merito con i Ministri Tremonti e Brunetta, sarebbe auspicabile ed urgente un rapido avvio della procedura di assunzione di educatori, almeno per completare la già esigua pianta organica, ulteriormente ridotta di circa 400 unità dal decreto legislativo n. 150 del 2009
se non ritenga opportuno procedere celermente all'assunzione di educatori attingendo dalla vigente graduatoria degli idonei risultante dal concorso pubblico a 397 posti di cui in premessa, al contempo prorogando la validità della stessa per almeno un quinquennio, al fine di permetterne lo scorrimento graduale per compensare il turn-over pensionistico, evitando l'indizione di nuovi concorsi che comporterebbe ulteriori oneri finanziari.
(5-02550)
Risposta all'interrogazione di Donatella Ferranti:dal 2011 assunzioni degli idonei educatori concorso,il comitato vigilera'.
Nel rispondere agli On. interroganti ritengo opportuno segnalare che il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo di "Educatore", Area C, posizione economica C1, dell'Amministrazione Penitenziaria, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16.4.2004 - IV serie speciale e si è concluso in data 9 luglio 2008.La graduatoria definitiva, immediatamente dopo l'approvazione del Direttore Generale con provvedimento dell'11 luglio 2008, è stata trasmessa all'Ufficio centrale per il bilancio per l'apposizione del visto di controllo.Nell'anno 2009, in ragione dell'entità dei fondi stanziati ai sensi dell'articolo 1, comma 346, della Legge 24.12.2007 n. 244, è stato possibile procedere all'assunzione dei primi 103 vincitori del predetto concorso a 397 posti.Quanto alle restanti 294 unità, la competente Direzione Generale di questa amministrazione ha già programmato il relativo piano di assunzione ricorrendo, per la copertura degli originari 397 posti a concorso, allo scorrimento della graduatoria, ai sensi dell'art. 15, co. 7, DPR n. 487/99 e successive integrazioni e modificazioni.I nuovi educatori - alcuni dei quali individuati tra i candidati idonei, ma non vincitori del concorso, attese le 12 defezioni intervenute per rinunce, mancate stipule del contratto o dimissioni da parte degli aventi diritto - hanno infatti già scelto la sede di destinazione e, entro aprile del corrente anno, saranno formalmente assunti con firma del relativo contratto.Per quanto riguarda, invece, l'auspicata possibilità di procedere ad un ulteriore scorrimento della graduatoria oltre il numero dei posti originariamente messi a concorso, mi corre l'obbligo di segnalare che tale eventualità non rientra tra le ipotesi di cui all'art. 15, co. 7, del DPR n. 487/1994 e che pertanto, limitatamente all'anno in corso, non può essere attuata per mancato stanziamento dei fondi occorrenti.I fondi disponibili, infatti, sono stati impegnati sia per l'assunzione dei vincitori del suddetto concorso per educatori, sia per l'assunzione degli idonei al concorso a 110 posti di contabile, a copertura dei posti previsti dal relativo bando ed in ragione delle gravi carenze riscontrate anche nell'area contabile.Dato atto di quanto sopra e, premesso che la validità delle graduatorie è indicata in tre anni dalla data della pubblicazione nei Bollettini ufficiali, faccio presente che, nel caso di specie, la validità della graduatoria del concorso a 397 posti è fissata al 31 maggio 2012 e che, pertanto, a partire dal prossimo anno, in presenza delle risorse economiche necessarie, potranno esservi le condizioni per procedere ad uno scorrimento della graduatoria, anche oltre il numero dei posti pubblicati.
24 febbraio 2010:
ordine del giorno su non riduzione organico educatori di Roberto Rao
La Camera,
premesso che
il provvedimento in esame prevede, all'esito del processo di riorganizzazione di cui all'articolo 74, del decreto legge n. 112 del 2008, un'ulteriore riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche ai fini del contenimento della spesa pubblica;
il comma 8-quinquies dell'articolo 2 individua le amministrazioni che non sono interessate dalle riduzioni descritte, tra cui il Corpo di Polizia Penitenziaria;
nonostante le difficoltà operative, la scarsezza di mezzi e personale risulta, inopinatamente escluso da tale previsione il personale civile del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte ad includere tra il personale delle amministrazioni non interessate dalla riorganizzazione delle piante organiche non solo quello di polizia penitenziaria ma anche quello civile del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con particolare riferimento alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, anche in vista dell'avvio del Piano carceri che necessiterà di adeguate risorse umane e professionali. 9/3210/41. Rao, Ria.
Accolto come raccomandazione.
19 Febbraio 2010:
ordine del giorno su assunzione educatori di Donatella Ferranti e PD
La Camera,
premesso che:
l'articolo 17-ter stabilisce che, per l'attuazione del cosiddetto «Piano carceri» si conferiscono pieni poteri al Commissario straordinario che, per individuare la localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie, d'intesa con il Presidente della regione territorialmente competente e sentiti i sindaci dei comuni interessati, potrà agire in deroga alla normativa urbanistica vigente, velocizzando procedure e semplificando le gare di appalto, utilizzando il modello adottato per il dopo terremoto a L'Aquila, derogando anche all'obbligo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, volto a consentire agli interessati, proprietari delle aree che si intendono espropriare, la necessaria partecipazione al procedimento amministrativo;
la localizzazione costituisce di per sé variante e produce l'effetto di imporre il vincolo preordinato all'espropriazione e contro di essa non sarà possibile ricorrere al giudice amministrativo e si introduce anche una deroga al limite dei subappalti, che potranno aumentare dall'attuale 30 per cento fino al 50 per cento, in deroga all'articolo 118 del codice dei contratti pubblici; in sostanza, si affidano pieni poteri al Commissario straordinario, che potrà avvalersi anche del Dipartimento per la protezione civile per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzioni lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali, in deroga ai criteri di trasparenza e pubblicità e in palese contraddizione con la mozione Franceschini ed altri n. 1-00302 (approvata sostanzialmente all'unanimità alla Camera il 12 gennaio di quest'anno e accettata dal Governo) che impegnava chiaramente il Governo a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere evitando il ricorso a procedure straordinarie, anche se legislativamente previste,
impegna il Governo
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale.
9/3196/13.
Donatella Ferranti.
Il comitato vincitori idonei concorso educatori dap in sostegno di Rita Bernadini
Educatori penitenziari sostengono la protesta di Rita Bernardini e Irene TestaRistretti Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori condivide e sostiene l’iniziativa non violenta intrapresa da Irene Testa e Rita Bernardini.Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori condivide e sostiene l’iniziativa non violenta intrapresa da Irene Testa e Rita Bernardini, impegnate in uno sciopero della fame perrichiedere l’esecuzione immediata di quanto proposto nelle cinque Mozioni parlamentari,unanimemente approvate nei giorni 11 e 12 gennaio 2010, riguardanti la situazione del sistema carcerario italiano.Giova ricordare che in quella occasione lo stesso Ministro Alfano assumeva precisi impegni ed affermava che vi avrebbe dato celere e certa attuazione sancendo l’inizio di un nuovo percorso,iniziato con la dichiarazione di Emergenza di tutto il sistema penitenziario alla quale ci si aspettava sarebbe seguita la predisposizione nel Piano Carceri di tutti quegli atti necessari ad ottemperare a quanto detto nelle citate Mozioni per poter, nei tempi strettamente necessari, affrontareconcretamente e efficacemente l´ormai ingestibile situazione creatasi nei nostri istituti penitenziari.Tuttavia, da un’iniziale analisi condotta sui primissimi elementi costitutivi e organizzativi del Piano Carceri emerge solo una particolare attenzione all’aspetto strutturale e custodiale, non prevedendo,invece, alcun intervento per incrementare e favorire la fondamentale componente rieducativa, vero obiettivo dell’esperienza carceraria.Questo Comitato ed altri illustri interlocutori del mondo penitenziario, continuano, infatti, a chiedere a gran voce che vengano assunti più educatori, affinché l’ingresso nelle nostre carceri non si limiti ad un forzato ozio, ma divenga precipuo momento di riflessione e riprogettazione del sé.Ad oggi, però, in merito alla questione degli educatori, alcuna volontà specifica è stata espressa dal Ministro, nonostante, le nostre carceri continuino quotidianamente ad affollarsi a causa dei numerosi nuovi ingressi, ma anche per la spaventosa carenza di educatori che, secondo quanto stabilito dalle vigenti leggi, rappresentano i coordinatori e i realizzatori materiali dei percorsirieducativi, nonché quelle figure professionali atte a garantire, nei giusti modi e nei tempi,l’espletamento, dell’intero iter necessario all’accesso alle misure alternative alla detenzione di quei detenuti che ne avrebbero i requisiti, ma che continuano a restare in carcere a causa dello sparuto numero di educatori attualmente in servizio a fronte di una popolazione di 66.000 persone carcerate.Pertanto, ci uniamo all´Onorevole Bernardini e a Irene Testa per chiedere l´immediata esecuzione delle citate mozioni e auspichiamo che il Ministro Alfano ne predisponga repentinamente l’avvio.Il Comitato, altresì, ad ausilio dell’iniziativa intrapresa da Rita Bernardini e da Irene Testa,promuove una “catena di informazione solidale” impegnandosi a diffondere la conoscenza di tale protesta non violenta tramite l’invio di questo comunicato non solo a tutti gli organi di informazione, ma anche ai propri conoscenti invitandoli a fare altrettanto.Il Comitato vincitori e idonei concorso educatori.
Donatella Ferranti,PD:da Ionta, un primo segnale l'immediata assunzione dei tanti educatori.
CARCERI: PD, VOGLIAMO VEDERCI CHIARO. AUDIZIONE ALLA CAMERA DI IONTA
Roma, 13 gen
''Lo vogliamo esaminare puntigliosamente ed e' per questo che gia' domani chiederemo al presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno di attivarsi per prevedere al piu' presto l'audizione del capo del Dap, dott. Franco Ionta''. Cosi' la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, commenta l'approvazione del piano carceri da parte del Cdm di oggi. ''I primi dati forniti dal ministro Alfano - sottolinea - non ci convincono fino in fondo: se infatti le carceri italiane possono ''tollerare' sino a circa 64.237 detenuti, da regolamento non potrebbero ospitarne piu' di 43.087. Il grado di sovraffollamento e' elevatissimo, siamo ampiamente fuori quota, e per arrivare ad 80.000 posti, i 21.749 annunciati oggi dal ministro Alfano sembrano insufficienti. E poi - prosegue - non basta costruire muri, occorre riempirli di personale numericamente e professionalmente adeguato: dalla polizia penitenzieria, agli psicologi, agli educatori e agli altri esperti. Di tutto questo ancora non c'e' traccia, ma aspettiamo di conoscere nel merito dal dott. Ionta le cifre esatte, certo - conclude - che un primo segnale potrebbe essere l'immediata assunzione dei tanti educatori e psicologi del concorso''.
Roma, 13 gen
''Lo vogliamo esaminare puntigliosamente ed e' per questo che gia' domani chiederemo al presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno di attivarsi per prevedere al piu' presto l'audizione del capo del Dap, dott. Franco Ionta''. Cosi' la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, commenta l'approvazione del piano carceri da parte del Cdm di oggi. ''I primi dati forniti dal ministro Alfano - sottolinea - non ci convincono fino in fondo: se infatti le carceri italiane possono ''tollerare' sino a circa 64.237 detenuti, da regolamento non potrebbero ospitarne piu' di 43.087. Il grado di sovraffollamento e' elevatissimo, siamo ampiamente fuori quota, e per arrivare ad 80.000 posti, i 21.749 annunciati oggi dal ministro Alfano sembrano insufficienti. E poi - prosegue - non basta costruire muri, occorre riempirli di personale numericamente e professionalmente adeguato: dalla polizia penitenzieria, agli psicologi, agli educatori e agli altri esperti. Di tutto questo ancora non c'e' traccia, ma aspettiamo di conoscere nel merito dal dott. Ionta le cifre esatte, certo - conclude - che un primo segnale potrebbe essere l'immediata assunzione dei tanti educatori e psicologi del concorso''.
Assunzione degli educatori primo impegno del governo
Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari esprime piena soddisfazione per l’approvazione delle cinque mozioni sul problema carcerario discusse ed accolte nei giorni 11 e 12 gennaio 2010 dal nostro Parlamento. Per la prima volta il Governo, rappresentato dal Ministro Alfano, ha preso consapevolezza della grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena e, fra le altre fondamentali proposte presentate, si è impegnato:- a procedere all’assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria deve attivare per questi operatori prima dell’ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;- a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato in premessa, in linea con gli orientamenti del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione nonché con le disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore - per permetterne un graduale scorrimento parimenti all’avvicendarsi dei fisiologici turn-over pensionistici, al fine di evitare l’indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;- ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l’organico di educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è annualmente molto esiguo, ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere;- a procedere all’alienazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici e alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito;Esprimiamo, quindi, pieno compiacimento per l’importantissimo risultato raggiunto dall’On. Di Stanislao dell’Idv, il quale nella Sua circostanziata e approfondita mozione, ha dimostrato ancora una volta la Sua grande disponibilità e sensibilità verso tali problematiche, sapendo cogliere e far emergere sapientemente le necessità di questo delicato settore della nostra giustizia. Ringraziamo, inoltre, gli onorevoli Bernardini, Rao, Ferranti, Melis, Tidei, Vitali, Balzelli, Donadi, Paladini, Franceschini e tutti coloro che hanno appoggiato con voto favorevole le Loro mozioni, poiché di fronte a queste battaglie di umanità hanno saputo permeare il Loro impegno politico di quell’umanità e di quell’alto senso civico che rende capaci di abbandonare i colori politici e di volgere verso una proficua unità di intenti.Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari, intanto, continuerà a vigilare affinché tali doveri vengano rispettati e proseguirà nel suo lavoro di diffusione della necessità dell’intervento rieducativo e quindi sulla centralità della presenza degli educatori, ovvero di quella figura professionale che rappresenta il vero catalizzatore ed esecutore materiale del percorso rieducativo di un detenuto, percorso che rappresenta l’unica vera speranza di un sano reinserimento sociale di chi vive l’esperienza delle sbarre e che rappresenta uno dei più validi strumenti atti ad evitare quegli stati di inerzia, apatia, depressione, frustrazione, ansia, inadeguatezza che troppo spesso percorrono prepotentemente i corridoi lungo i quali si snodano le fila di quelle celle all’interno delle quali si consumano, quotidianamente, suicidi, abusi, violenze. Auspichiamo, quindi, che il Governo predisponga celermente tutti gli atti necessari ad ottemperare quanto detto e che questa stessa volontà continui ad animarne tutti i passaggi ad essi necessari, per poter, nei tempi strettamente necessari, cominciare ad affrontare concretamente e efficacemente l’ormai ingestibile emergenza creatasi.
Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari
Il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari
lunedì 11 gennaio 2010
11 Gennaio 2010: resoconto stenografico della discussione in assemblea delle mozioni sulle carceri. carcere,governo,Di stanislao,radicali,Udc,Pd,Ionta
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Discussione delle mozioni Bernardini ed altri n. 1-00288 e Vietti ed altri n. 1-00240 concernenti la situazione del sistema carcerario italiano
(ore 15,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bernardini ed altri n. 1-00288 e Vietti ed altri n. 1-00240 concernenti la situazione del sistema carcerario italiano (vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Pag. 15
Avverto che sono state presentate le mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00301, Franceschini ed altri n.1-00302 e Vitali ed altri n.1-00309 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Vietti ed altri n. 1-00240 è stata riformulata dai presentatori. Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00288. Ne ha facoltà.
RITA BERNARDINI. Signor Presidente, mi rivolgo anche ai colleghi deputati e al signor rappresentante del Governo. Avendo a disposizione dieci minuti, voglio concentrare il mio intervento sulle parti più ostiche ma, secondo me, molto importanti della mozione che ho depositato assieme alle firme di altri 92 deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari presenti in quest'Aula.
Il primo punto che voglio affrontare è quello dell'amnistia, una parola divenuta impronunciabile in questo nostro Paese, e l'altro tema a cui tengo molto è quello che riguarda il 41-bis. Per il resto, rimando alla lettura responsabile da parte di ogni deputato del testo della mozione presentata.
Credo che noi dobbiamo dirci che l'illegalità delle carceri italiane è solo la parte terminale, direi forse la più straziante per chi le ha visitate e per chi ha contattato cella per cella i detenuti e le detenute italiane, di un apparato giudiziario che da decenni (da questo punto di vista devo dire che non possiamo affermare che ci sono Governi più colpevoli di altri) è incapace di produrre giustizia, tanto che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato infinite volte l'Italia.
Voglio rifarmi alle parole pronunciate in quest'Aula quasi un anno fa, ossia il 27 gennaio del 2009, proprio dal Ministro della giustizia Angelino Alfano, il quale ha detto: quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti. Ha parlato poi di 5 milioni e mezzo di procedimenti (con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti) ed ha aggiunto: il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente senza riuscire neppure ad eliminare un numero pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema.
Dunque, secondo i dati ufficiali, in Italia l'arretrato pendente sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali che sarebbero molti di più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben due milioni di prescrizioni. È stato il Ministero della giustizia a fornirci questi dati: circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno.
Credo che occorra essere consapevoli che, in un contesto del genere, i concetti di pena certa e di esecuzione reale della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi, se non del tutto fuorvianti.
In questo quadro e per queste ragioni - contro l'amnistia che già esiste, ma della quale nessuno parla, anonima, banale, di classe ed illegale chiamata prescrizione - solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti di una capienza regolamentare e, dall'altro, l'eliminazione di più della metà dei procedimenti penali pendenti. Ciò darebbe il via e sarebbe la spinta a quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono seriamente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione.
Ricordo che su questo c'era stato anche un impegno del Governo a presentare in tempi brevi un'ampia e strutturale riforma della giustizia.
Ricordo anche che è passato un anno e che ciò che abbiamo visto fino a questo momento, ovvero i progetti presentati, non rientra certo in questa categoria. Le cifre non ve le dirò oggi, perché il tempo è quello che è, ma sono le cifre che, grazie alle iniziative dei parlamentari che sono entrati nelle carceri a Ferragosto (e non solo: anche a Natale, Capodanno e durante tutto l'anno), sono state pubblicate su giornali. Sono le cifre di uno strazio e di un dolore continuo purtroppo ben rappresentato dall'immagine di Stefano Cucchi o di Aldo Bianzino.
Si tratta di immagini di persone arrestate e affidate nelle mani dello Stato e che sono state ridotte come le abbiamo viste, in particolare per Stefano Cucchi dalle immagini che per la volontà di una famiglia seria e responsabile sono state trasmesse a tutti.
Quindi, non possiamo dire di non sapere. Noi tutti in quest'Aula - ci ascoltano dalle carceri - sappiamo quale è questa realtà. È la realtà delle oltre 160 morti del 2009 e dei 72 suicidi. Questa è la realtà.
Veniamo al 41-bis, che è l'altro argomento scomodo del quale non si può parlare. Anche in questo caso mi rifaccio alle parole del Ministro della giustizia, quando ha detto che il 41-bis è una norma che si colloca ai limiti del disegno costituzionale, essendo uno strumento volto alla neutralizzazione del detenuto, all'interruzione di ogni contatto della persona con l'esterno. Si tratta di un disegno che contrasta palesemente con le finalità rieducative previste dalla Costituzione, atteso che la nostra Carta fondamentale non configura la reclusione come un ulteriore incentivo alla desocializzazione del soggetto.
Abbiamo avuto diversi richiami da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha citato l'articolo 3 di questa Convenzione. Sia la Corte costituzionale che la Corte europea hanno più volte a più riprese invitato il legislatore a umanizzare il carcere duro, in modo da renderlo coerente con i principi dell'ordinamento italiano e di quello comunitario. Questo è quello che chiediamo con la nostra mozione alla vostra attenzione.
Dobbiamo dirci con franchezza anche un'altra cosa. A guardare la situazione delle carceri italiane, noi ci troviamo di fronte ad uno Stato che, ripeto, non da oggi, ma da decenni (potremo parlare del sessantennio partitocratrico) si comporta effettivamente da criminale. Non solo, ma è recidivo, proprio perché questi comportamenti si sono ripetuti nel tempo.Credo che dobbiamo attivarci e questa può essere la Camera che vara d'urgenza i provvedimenti necessari, perché non è più sopportabile tutto questo. Dobbiamo impegnarci perché gli articoli 27 e 13 della Costituzione tornino a vivere, così come l'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo che recita: «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o a trattamenti inumani e degradanti» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao, che illustrerà la mozione Vietti ed altri n. 1-00240 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, per quanto poco partecipato in termini assoluti e quantitativi (non certo in termini di qualità, visto che in Aula ci sono sicuramente molti colleghi esperti del settore giustizia), il dibattito di oggi vede il Parlamento impegnato su una materia che esprime il grado di civiltà e di umanità di una nazione, lo abbiamo detto tante volte e lo ribadiamo oggi, è un dato condiviso anche dal Ministro Alfano, oggi rappresentato dal sottosegretario Caliendo. Ci auguriamo che alla fine sulle diverse mozioni presentate dai gruppi parlamentari si possano registrare ampie convergenze, a testimonianza che su questo tema Governo, maggioranza e opposizioni vogliono davvero lavorare senza pregiudizi.
Anche il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio alla nazione del 31 dicembre scorso, ha voluto richiamare il Paese intero alle riforme e ad un'azione decisiva su alcuni punti. In particolare ha voluto espressamente citare anche la condizione che riguarda le carceri: «È necessario - ha detto il Capo dello Stato - essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre, anche perché ci si sente privati di diritti elementari; penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e a rischi, e di certo non ci si rieduca».
Il Presidente Napolitano con sintetiche e chiare parole ha messo a fuoco i due punti cruciali di quella che è stata definita a ragione l'emergenza carceri: il sovraffollamento e la rieducazione. Il carcere non è, in uno Stato di diritto, solo il luogo per mettere i condannati nella condizione di non nuocere alla comunità, ma anche - soprattutto, direi io, in un Paese civile - il luogo della rieducazione della persona. È chiaro a tutti come, nell'attuale situazione in cui versano gli istituti penitenziari italiani, oggi, questo non avvenga, o meglio non possa avvenire. Non certo per colpa del personale della polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi che svolgono un lavoro straordinario, nelle condizioni date, al limite del sacrificio personale.Quest'estate su una meritoria sollecitazione dei colleghi radicali molti di noi hanno preso visione direttamente per la prima volta (io avevo avuto occasione in passato durante la Presidenza Casini di far visita ben cinque volte a istituti penitenziari di Roma e di Milano) della situazione in cui versano molte carceri italiane, aderendo all'iniziativa «ferragosto in carcere», in carcere con chi vi è recluso, con chi vi lavora e con i tanti volontari che vi operano. Personalmente ho visitato l'Istituto del Buon Cammino di Cagliari ed è stata un'esperienza che mi ha trasmesso una corale richiesta soprattutto di dignità, cosa che raramente capita di vivere. Ho toccato, come tanti colleghi, la disperazione dei detenuti che vivono in una situazione di sovraffollamento inumano, con una forte limitazione degli spazi, nonostante le molte e diverse patologie che in diversi casi si trovano ad affrontare.
Vi è inoltre una reale difficoltà per l'incontro con i parenti, per non parlare dei bambini in carcere. Ne ho incontrato uno nell'ultima visita, il cui sguardo dietro le sbarre difficilmente potrò dimenticare. Mi ricordo anche i tanti volti dei bambini del reparto femminile di Rebibbia che solo recentemente hanno avuto, grazie allo sforzo di molte associazioni di volontariato, una nuova ludoteca, una ludoteca dietro le sbarre. Colleghi, una cosa è certa, i bambini sicuramente non hanno nessuna colpa. Occorre seriamente riflettere: nei sedici asili nido funzionanti - lo sa bene il sottosegretario Caliendo - stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella. È una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro, colpevole - lo ripeto - soltanto di essere figlio di una reclusa.
Abbiamo constatato il disagio e le difficoltà del personale di vigilanza e di educazione che distribuisce larghe dosi di umanità e professionalità, ma è anche fortemente stressato dalla carenza di organico, dalla mancanza di fondi derivanti dai tagli lineari del Ministro dell'economia che, anche in questo caso, purtroppo, ha abdicato a quella valutazione tutta politica delle vere emergenze e delle priorità di un Paese. Carenza di risorse che si ripercuote sull'impossibilità del turnover del personale, sull'esigenza di fare economie su ogni cosa, persino, come abbiamo notato, sui cani per i controlli antidroga nelle carceri, nelle celle e anche in occasione dei colloqui.Una situazione forse meno intollerabile, se così si può dire, è quella che ho visto nel carcere di Cagliari, ma che davvero ha lasciato profondi segni nella coscienza di chi sente di essere quasi inadeguato a quella missione che ci hanno assegnato il personale e i detenuti: cambiare, e presto, questo stato di cose.
Il dato macroscopico più eclatante, da affrontare con urgenza, riguarda quel 50 per cento di detenuti in custodia cautelare, ovvero ancora in attesa di sentenza di condanna definitiva. Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza di civiltà. La condizione di reclusi nella quale si trovano tante persone ancora in attesa di giudizio colpisce violentemente chi, da legislatore, si sforza ogni giorno di richiamare l'attenzione dell'Esecutivo e della maggioranza non sulle mille questioni settoriali della riforma del processo, ma sulla celerità del nostro sistema giudiziario.
Se c'è un dato di fondo, infatti, che emerge chiaro anche da queste nostre visite, e sul quale ci siamo confrontati anche molto costruttivamente con i colleghi della maggioranza e dell'opposizione, è che una giustizia lenta, il più delle volte, è una giustizia negata. È ciò che ripete spesso anche il Ministro Alfano, ma per far questo non basta il processo breve che, come è stato scritto, è più che altro un'amnistia mascherata, piuttosto che una vera e propria seria riforma. Servono anche qui più risorse ed una nuova geografia dei tribunali, altrimenti si casserebbero soltanto dalla mattina alla sera centinaia, o forse decine di migliaia di processi: anche questa, colleghi sarebbe una giustizia negata, stavolta, però, per le vittime dei reati.
Non è questa la strada. Chi di noi colleghi ha partecipato all'esperienza di quest'estate porta nelle sue parole le immagini e i volti delle persone detenute che ci chiedono di fare presto e bene buone leggi per risolvere anche gli annosi conflitti fra Ministeri diversi. Pensiamo alla vicenda del personale medico-educativo, degli psicologi penitenziari vincitori di concorso - lo sa bene il sottosegretario - che da anni aspettano di essere assunti e sono «rimpallati» tra il Ministero del welfare e l'amministrazione penitenziaria, per non parlare dello scaricabarile perfino sul pagamento dei farmaci per i detenuti nelle regioni a statuto speciale, soprattutto in Sicilia e in Sardegna tra gli stessi Ministeri.
Chi di noi, invece, non ha partecipato a questa esperienza può prendere coscienza del problema in maniera chiara, senza equivoci, anche solo dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia e che dà conto di come, solo nel corso del 2009, la popolazione carceraria è aumentata di 8 mila unità, passando dai 58 mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66 mila di quest'anno: oltre 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile. Ci siamo interrogati tante volte, anche con i colleghi, su cosa significhi «tollerabile»: ci sembra più un criterio tecnico che umano.
Gli stessi dati poi confermano quanto già detto in precedenza, cioè che quasi il 50 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio, 7 mila in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006. Si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa un'anomalia tutta italiana, su cui è necessario intervenire, perché un innocente che rimane in carcere non solo perde la fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, ma rischia di diventare un vero problema sociale.
Ben 34 dei 204 istituti - al contrario della collega Bernardini, in una simbolica staffetta, noi qualche cifra la diamo in quest'Aula - ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono fuorilegge dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta e il «carcere fuorilegge» è realmente un paradosso, caro sottosegretario.
Era il febbraio 2009, quasi un anno fa, quando il Ministro Alfano annunciava il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento. Questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile.
Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri in un piano, mi consenta, più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno, è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. Nella più ottimistica delle previsioni i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità. Se il Presidente mi consente, lascerò alcune altre cifre agli atti, mentre vorrei soffermarmi su altre due questioni. La prima riguarda il numero degli educatori in quanto parlavamo di rieducazione in carcere.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, ho solo un minuto? Speravo di avere qualcosa in più.
PRESIDENTE. Prego onorevole, si è trattato di un errore materiale.
ROBERTO RAO. Dicevo che il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088 e sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata all'attività di osservazione e al trattamento dei detenuti. Pensiamo a chi è detenuto per la prima volta e, quindi, si trova dietro le sbarre per la prima volta nella sua vita; considerato che a fronte di quasi 66 mila detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, ciascuno in rapporto libero professionale retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese. Ciò comporta come naturale conseguenza che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo e sappiamo che questa non è l'intenzione del Governo.
A questo proposito, il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato fin dal 2004 un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche
ad approvare la relativa graduatoria nel 2006. Nonostante ciò, da quel momento, l'amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti.
Un ultimo aspetto riguarda il fatto che di carcere si può anche morire. Generalmente un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca Ristretti orizzonti del carcere di Padova. Quest'anno è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica: 71 su 171 persone morte in carcere e in questi primi giorni del 2010 nelle carceri italiane si sono registrati già ben quattro suicidi. È un dato allarmante che non può non interrogare nel profondo ciascuno di noi, la nostra coscienza, i legislatori e i governanti. Queste morti chiedono una risposta rapida dello Stato ad una situazione intollerabile.
Quanto denunciato costituisce, a nostro avviso, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32 che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e dell'articolo 27 secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Nell'illustrazione della nostra mozione ritengo, quindi, che sia maturo il tempo nel quale quest'Aula possa affrontare e risolvere il problema dell'emergenza carceri adottando un indirizzo chiaro e preciso che costituisca la base dei futuri provvedimenti amministrativi e normativi in materia. In particolare, a nostro avviso è necessario che il Governo adotti una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere (specie per le donne con figli e per i tossicodipendenti), la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità e, inoltre, a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi di appartenenza, in quanto sappiamo che quelli che ci sono, sono insufficienti e non riguardano spesso i Paesi di origine del gran numero dei detenuti extracomunitari.
Dobbiamo predisporre un nuovo e più efficace piano carceri rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, assicurando le risorse necessarie per realizzarlo e per garantire un'adeguata dotazione di polizia penitenziaria indispensabile per gestire una situazione così drammatica.
Se il carcere deve poi essere, secondo i principi di civiltà e dignità della persona, un luogo di rieducazione, diventa improcrastinabile a nostro avviso l'assunzione di un congruo numero di educatori e psicologi indispensabile per la vita dei reclusi, nonché adoperarsi in sede di Conferenza Stato-regioni affinché sia garantita a costoro, dal servizio sanitario nazionale, la migliore assistenza medica e psicologica. È necessario, inoltre, che lo Stato si faccia carico del problema dei bambini con l'istituzione e costruzione di case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini. Colleghi, queste sono le principali misure che, a nostro avviso, sarebbe ragionevole e utile adottare per rispondere con coerenza al grido, all'appello e alla richiesta di giustizia che proviene dagli istituti carcerari. Il Parlamento deve farsene carico per il rispetto che ha e che deve alla Costituzione e alla sua dignità.
Infine, come la collega Bernardini, voglio fare un riconoscimento alla memoria di Stefano Cucchi morto in circostanze drammatiche ancora tutte da chiarire durante la sua detenzione.
È un riconoscimento al dolore straziante e alla determinazione composta della sua famiglia, che chiede e deve avere giustizia. Sono convinto che il Ministro Alfano e il Ministro Maroni collaboreranno ancora e daranno una risposta chiara e rapida su questa vicenda, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, ancora di più dopo che la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, il cui volto e i cui occhi abbiamo ancora impressi, ha dato un esempio di serietà e di rispetto delle istituzioni a tutti noi.
È un esempio che non va dimenticato, dopo che Ilaria Cucchi ha declinato una legittima richiesta di candidatura da parte dei radicali alle prossime elezioni regionali del Lazio. Quello delle candidature di testimonianza è un modo per non dimenticare, e i radicali ne sono un esempio encomiabile, ma questo Parlamento e, spero, entrambe le candidate alla presidenza della regione Lazio devono prendere un impegno a non dimenticare, anche se non vi saranno gli occhi di Stefano, attraverso quelli di Ilaria, a ricordarcelo dai banchi di un consiglio regionale.
È questo il compito di una classe politica di un Paese civile e, mi consenta, umano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Rao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00301. Ne ha facoltà.
AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è un contributo che parte dal gruppo dell'Italia dei Valori su un tema che ormai sta diventando all'ordine del giorno dell'agenda non solo politica, ma anche sociale della nostra nazione.
Con la nostra mozione intendiamo indurre a riflessioni, per poi prendere le necessarie decisioni, il Governo, a partire dall'intero Parlamento, che mi auguro abbia la giusta ed adeguata sensibilità per far sì che non attraverso posizioni ideologiche, ma attraverso posizioni mirate e sostenute da una serie di dati, che poi fanno la sostanza non solo dell'attività politica, ma delle varie vite spezzate, l'umanità contenuta all'interno delle carceri possa trovare finalmente una giusta risposta in termini non solo parlamentari, ma come espressione forte e autorevole di un Governo all'altezza del proprio ruolo e della propria posizione.
Ricordo che la situazione delle carceri italiane era ed è, purtroppo, in una fase continuamente emergenziale. Vi è un surplus di 23 mila detenuti, circa 66 mila sono le presenze a fronte dei 43 mila possibili; vi è una deficienza organica del Corpo di polizia penitenziaria di circa 5 mila unità. La gran parte delle strutture penitenziarie sono poi fatiscenti, obsolete e non adatte. Ve lo dice chi ha avuto modo di fare un sopralluogo non tanto e non solo sulle questioni e sulle
condizioni logistiche e strutturali, ma si è anche occupato di quelle vite spezzate di cui dicevo poc'anzi.
La popolazione delle carceri continua a crescere, con tutte le relative valenze connesse al pericolo e al trattamento, e gli agenti penitenziari sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi e i medici.Sono in costante aumento gli attacchi al personale, che ormai è demotivato, stanco e mal pagato. Su tutto il territorio nazionale si registrano manifestazioni e proteste, giustificate dalle condizioni di insicurezza in cui sono costretti a lavorare. Mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti del giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei.
Sebbene il Presidente del Consiglio abbia reso noto il famoso «piano carceri», della cui copertura finanziaria oggi, nonostante gli annunci, non vi è certezza, i primi risultati, qualora vi fossero, non arriveranno prima di due anni. Solo pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata; una pena naturalmente simbolica, ma che mette in evidenza una terribile realtà.
Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di 3 metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò vuol dire che normalmente una cella deve ospitare 3 detenuti: oggi, nei penitenziari italiani, ve ne sono in media 9 in ogni cella. Dall'inizio dell'anno, si ricordava, sono oltre 70 i suicidi verificatisi all'interno delle strutture e 3 riguardano gli agenti di polizia penitenziaria.
Bisogna dare luce ad una realtà penitenziaria taciuta, ignorata o dimenticata, emarginata e abbandonata, per mettere in evidenza le emergenze del sistema carcere con il rischio sommosse e il rischio morte presenti ogni giorno; un sistema che alimenta gli effetti criminogeni delle pene. Un sistema in cui l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva e che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato e l'articolo 64 della Costituzione europea, che stabilisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti, non trovano applicazione.
L'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei cittadini dell'Unione. Nel marzo 2007 l'Unione europea ha istituito l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha il compito di aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad elaborare la normativa in questo campo e di sensibilizzare l'opinione pubblica ai diritti fondamentali. Del resto, in un mondo globalizzato è fondamentale che i Paesi dell'Unione europea collaborino efficacemente per combattere la criminalità e il terrorismo.
Dal giugno 2004 l'Unione europea ha adottato un Trattato che, attraverso le tappe previste, ambisce a diventare una Costituzione per l'intero continente. La creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia richiede necessariamente un coordinamento dei sistemi giuridico-penali dei Paesi membri. Uno spazio sovranazionale dev'essere altresì anche capace di farsi garante del riconoscimento e del rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, europei ed extracomunitari che vivono e risiedono in Europa. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale, ancorato al principio della territorialità: uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto l'esclusività del sistema penale. D'altro canto, a partire dal 1948 sia il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è stato progressivamente eroso da una nuova concezione del diritto internazionale, che sostituisce all'intergovernativismo la sovranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte penale internazionale. Il suo Statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all'interno embrioni del superamento del principio della nazionalità del sistema processuale penale, laddove vi siano gravi violazioni dei diritti umani, crimini di guerra, genocidi, crimini contro l'umanità. Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali, vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, e vanno identificati minimi e massimi edittali delle pene, vanno enucleati comuni ed essenziali interessi da proteggere in Europa con gli strumenti del diritto penale, evitando che i singoli Stati si limitino ad adattarsi al diritto penale di derivazione europea, conservando allo stesso tempo intatto tutto il proprio armamentario repressivo, e ciò, capite, è una gravissima contraddizione in termini.
I diritti delle persone sottoposte a procedimento giudiziario, a misure penali o detenute vanno tutelati senza eccezioni e senza timori. La dignità umana non può essere calpestata in alcuna circostanza. L'esperienza europea degli ultimi anni ci suggerisce l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione. Tali organismi svolgono una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti. Si tratterebbe di una sorta di difensori istituzionali dei diritti in carcere, per i quali va data altresì piena attuazione sia alla sentenza della Corte costituzionale del febbraio 1999, che prevede la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, sia al nuovo regolamento di esecuzione che nelle sue forme vuole migliorare la qualità della vita nelle carceri.
Lotta al razzismo, libera circolazione delle coppie senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e difesa delle donne, dei minori e degli immigrati: è quanto chiede il Parlamento per lo spazio europeo di giustizia, auspicando più diritti per i detenuti e fondi comunitari per la costruzione di nuove carceri. Occorre combattere la criminalità informatica, garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi dell'Unione europea per l'accoglienza dei rifugiati e tutelare i cittadini da terrorismo e criminalità. Il Parlamento europeo in tal senso qualche giorno fa ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto «Programma di Stoccolma», che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni.
Il Parlamento chiede norme minime relative alla condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate. Auspica, inoltre, la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusino un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinserimento sociale. Sollecita anche la conclusione di accordi tra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei loro cittadini che abbiano subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. Sostiene poi la necessità di uno strumento giuridico globale sull'ammissibilità della prova nei procedimenti penali.
L'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce le misure alternative alla detenzione. Esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere; vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi. Le misure alternative sono numerose, con caratteristiche peculiari, ciascuna tendente comunque alla risocializzazione del condannato. Esse sono: l'affidamento in prova al servizio sociale (pena residua di tre anni); la detenzione domiciliare (pena residua di quattro anni o, nei casi di condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo, pena residua anche superiore ai quattro anni); la semilibertà (metà pena o i due terzi se si tratta di reati gravi o sei mesi solo dalla libertà); la liberazione condizionale; la sospensione della pena per gravi motivi di salute (qualunque sia la durata della pena). Queste misure, però, non possono essere la soluzione concreta e definitiva dell'emergenza carceri e al sovraffollamento.
Al di là di ciò, aspettando il piano carceri, è necessario avviare una riflessione e pensare ai processi brevi e alla certezza della pena dando strumenti e risorse. In sostanza il carcere-servizio pubblico deve essere un luogo che produce sicurezza collettiva nel rispetto della dignità dei detenuti. Lo scorso mese di agosto si è svolta l'iniziativa nazionale «Ferragosto in carcere» che ha visto coinvolti deputati, senatori e consiglieri regionali di tutta Italia e di tutte le forze politiche. L'obiettivo di tale iniziativa era quello di verificare e di conoscere meglio le condizioni tanto dei detenuti quanto di direttori, agenti, medici, psicologi ed educatori che lavorano all'interno delle carceri, al fine di poter formulare proposte legislative o organizzative adeguate. Tra suicidi, morti, vite salvate, tentate evasioni, evasioni compiute e spazi che mancano nelle nostre prigioni è sempre più evidente l'emergenza-soluzioni. A fronte di questa spaventosa e preoccupante situazione tutto il personale penitenziario tra l'altro è chiamato ad operare senza alcuna linea guida e senza mezzi idonei con scarsissime risorse.
Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 30 del 16 aprile 2004 veniva bandito un concorso pubblico per 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008, nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23 veniva pubblicata la graduatoria ufficiale e definitiva del suddetto concorso. Ad oggi il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assunto solo i primi novantasette vincitori cui si spera, a breve, seguirà l'assunzione dei restanti trecento, dopo aver proceduto alle istanze di interpello annuale nazionale di mobilità interna del personale. Queste nuove forze potranno sicuramente rappresentare un valido supporto ma si rivelano palesemente e gravemente insufficienti. Intanto, per questa figura professionale, sono già state già apportate drastiche riduzioni tali da portare la pianta organica del 2009 a sole 1.088 unità rispetto alla pianta del 2008 che ne prevedeva circa 1.400 in organico, riduzione operata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adeguarsi alle disposizioni del cosiddetto «decreto Brunetta» che ha imposto un ridimensionamento delle piante organiche in diminuzione delle unità, affinché le pubbliche amministrazioni possano procedere all'assunzione di nuovo personale. In realtà, ad oggi, in servizio, ci sono soltanto 686 educatori cui si aggiungeranno i 300 restanti vincitori giungendo ad una quota pari a 968 unità a fronte di una popolazione detenuta di circa 66 mila unità ancora in crescita, come si è detto prima. È lampante, pertanto, la mancanza di ben 102 educatori rispetto alla pianta organica del 2009 (mancanza ancora maggiore se riferita alla pianta organica del 2008, pari a circa 400 unità di educatori), cui andranno ad aggiungersi tutti quegli educatori che verranno collocati in pensione avendone maturati i requisiti.
La sostanziosa assenza dei citati operatori aggrava ed aggraverà ancor di più il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori ancora in servizio oltre ad accrescere l'inadempienza al dettato legislativo vigente, dal momento che la maggior parte dei detenuti non riescono ad avere per anni colloqui con gli educatori, non riuscendo pertanto a conseguire alcun giovamento dall'ingresso in carcere.
Quest'ultima disposizione viene chiaramente disattesa nelle realtà carcerarie italiane, come è noto dal caso Castrogno (chi vi parla ne è ben cosciente, essendo un parlamentare abruzzese e teramano che quindi conosce bene la realtà di Castrogno), uno dei tanti emersi negli ultimi tempi, ma anche dall'aumento dei suicidi, degli atteggiamenti autolesionistici, della richiesta di psicofarmaci e, non ultimo, dell'aggressività dei detenuti nei confronti del personale penitenziario, ad ulteriore dimostrazione dell'emergenza in cui i circuiti detentivi versano a causa della mancanza di operatori a fronte di uno spropositato aumento del numero dei detenuti ospitati in strutture inidonee ed evidentemente non a norma dal punto di vista strutturale e delle risorse umane.
Bisogna inoltre anche specificare che, nonostante l'assunzione dei 300 vincitori del concorso per il profilo di educatore, il DAP avrà un avanzo di fondi a disposizione per assumere subito circa 70 unità lavorative grazie al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 31 luglio scorso, che ha deliberato l'autorizzazione all'assunzione di un contingente di 1.370 unità di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 per le amministrazioni dello Stato.
In particolare per il Ministero della giustizia le nuove assunzioni autorizzate sono 223, di cui 110 per l'amministrazione penitenziaria, che dovrebbero essere ripartite tra vincitori ed idonei di tutti i concorsi aventi graduatorie ancora valide presso quest'ultima amministrazione.
Stando tuttavia alle allarmanti condizioni delle carceri italiane, buona parte di questi fondi che avanzeranno dovranno essere destinati primariamente e celermente, senza indugio alcuno, all'assunzione degli idonei al concorso per educatori per incamminarsi verso quella condizione di rieducazione che il carcere deve dare a chi ne entra a far parte, per non smarrire quella presa di coscienza e civiltà che la nostra Carta costituzionale gli affida.
È necessario pertanto attivare dei seri e proficui percorsi di rieducazione dei detenuti la cui realizzazione sia promossa e attivata dagli educatori penitenziari, veri coordinatori e catalizzatori degli strumenti utili per la composizione di tale iter risocializzativo (come la norma del 1975 dispone), affinché la dimensione del vissuto carcerario sia foriera di profonda autoriflessione sulle proprie apicalità e crei momenti di autoprogettazione, di formazione e costruzione di un sé nuovo, positivo, propositivo, generatore di valori riconosciuti e condivisi dal comune senso civico. Occorrono soluzioni ed un modello di recupero e di rieducazione prima di pensare a nuove strutture, al fine di un immediato e concreto supporto al mondo penitenziario.
Con questa mozione l'Italia dei Valori intende appunto, sulla scorta di queste riflessioni, di queste indicazioni e dello stato dell'arte, impegnare il Governo: a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario, al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori; a procedere all'assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il DAP deve attivare per questi operatori prima dell'ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito; a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso sopracitato stando agli odierni orientamenti dettati dal Ministro Brunetta e dalla proposta di legge n. 2462 presentata il 21 maggio del 2009, nonché alle disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore per permetterne un graduale scorrimento parimenti all'avvicendarsi dei fisiologici turnover pensionistici, al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici.
In effetti, questa medesima procedura di scorrimento della graduatoria con l'assunzione di tutti i suoi idonei trova già un precedente nel panorama legislativo e procedurale italiano,poiché effettuata per le graduatorie dei concorsi banditi dall'Agenzia delle entrate per 1.500 posti di funzionari per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, attivata dall'amministrazione tributaria, bandita dall'Agenzia delle entrate e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie speciale del 21 ottobre 2005.
Impegniamo il Governo, altresì, a stabilire una norma che prevede lo stanziamento dei fondi necessari per completare l'organico degli educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il DAP (lo sforzo economico che si richiede al Governo è annualmente molto esiguo, ma è necessario per far funzionare meglio, e in modo più mano, una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere); a procedere all'alienazione di immobili ad uso penitenziario nei centri storici e alle costruzioni di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito; a procedere alla dismissione di immobili ad uso penitenziario e alla riassegnazione del ricavato al Ministero della giustizia, per il potenziamento dell'edilizia penitenziaria esistente; al rifinanziamento dell'articolo 6 della legge n. 259 del 2002, in sede di predisposizione della legge finanziaria per il 2010, prevedendo dei limiti di impegno per un arco di tempo compatibile con l'utilizzo della locazione finanziaria; all'attivazione, in relazione alla esperienza europee degli ultimi anni, di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e di controllo dei luoghi di detenzione al fine di svolgere una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti; ad autorizzare, secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo, le risorse finanziarie per la costruzione di nuove strutture detentive, prevista negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinserimento sociale; ad istituire, nel più breve tempo possibile, dato l'allarme di questa situazione, la Commissione di inchiesta parlamentare sulla situazione delle carceri in Italia come richiesto dall'Italia dei Valori nella propria proposta del 24 novembre del 2009; in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e a definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse.
In tutto questo, credo che dobbiamo trovare una sintesi importante, affinché la calendarizzazione della discussione in Assemblea delle nostre mozioni costituisca un banco di prova su cui testare la concreta volontà del Governo, e dei parlamentari tutti, per tentare di risolvere il dramma che quotidianamente si consuma dentro le prigioni italiane.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, è necessario che il Parlamento e soprattutto il Governo e la maggioranza definiscano un vero e proprio «piano Marshall» per le carceri. Solo attraverso ingenti finanziamenti in termini di risorse, mezzi e tecnologie, attraverso una vera riforma alla giustizia, sarà possibile porre rimedio a ciò che oggi appare irrimediabilmente compromesso.
Questo è il nostro contributo e mi auguro che possa il Parlamento trovare una sintesi unitaria, perché bisogna dare una risposta non solo in termini politici, ma anche istituzionali, ad un dramma che è soprattutto umano, e che deve vedere la politica in grado di reggere l'urto di questa grande sfida, che è una sfida sì di umanità, ma anche di grande innovazione e modernizzazione anche, e soprattutto, delle coscienze (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti, che illustrerà la mozione n. 1-00302, di cui è cofirmataria.
DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, le preannunzio che, qualora non riuscissi ad illustrare interamente la mozione, chiederò che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
Questa nostra mozione parte da un dato, quello del sovraffollamento delle carceri, ma non come situazione di emergenza ed eccezionalità, a cui bisogna porre rimedio con provvedimenti eccezionali ed estemporanei, ma come situazione strutturale che nasce più che dalla crescita della criminalità, dalla sistematica crescita della criminalizzazione e dalla conseguente risposta di contrasto alla criminalità cosiddetta di strada. Vi è la sensazione che si cerchi di colpire con il carcere ciò che non si riesce a tenere sotto controllo in altro modo. Ne è un esempio tangibile la politica sull'immigrazione: il recente reato di nuovo conio, quello di immigrazione clandestina, e la progressiva accentuazione di una normativa sostanziale e processuale costruita sul cosiddetto doppio binario. Nel luglio 2006 si giunse ad avere nelle strutture carcerarie 62 mila detenuti, la risposta fu l'indulto che consentì di ridurre le presenze del periodo minimo a circa 38 mila detenuti Oggi la condizione di sovraffollamento nella quale si è precipitati di nuovo (65 mila detenuti, 31 mila circa in attesa di giudizio) è segnata da una crescita che ha superata le mille unità al mese e corrisponde in misura preponderante alla crescita della presenza di stranieri nelle carceri, unitamente ai tossicodipendenti, ai malati psichiatrici e a tutte le altre forme di devianza sociale che colpiscono gli strati più bassi della popolazione. Tutto ciò alimenta la popolazione carceraria e apparentemente soddisfa quell'ansia di sicurezza che, a torto o a ragione, pervade la società civile. In media, possiamo dire che gli stranieri costituiscono il 38 per cento della popolazione carceraria e provengono da 140 Paesi diversi, ma, a tal proposito, pochissimi sono i Paesi con cui l'Italia ha una convenzione bilaterale (due o tre al massimo). Comunque, le dichiarazioni rese in proposito dal Ministro competente in un'intervista dell'8 settembre 2008, secondo la quale si sarebbe provveduto ad espellere 3.300 detenuti immigrati, non solo si sono risolte in un nulla di fatto - anche per l'impossibilità e per l'onerosità del provvedimento in sé - ma non hanno fornito una risposta in grado di risolvere in maniera incisiva il problema del sovraffollamento. Per tutti - mi riferisco a stranieri, tossicodipendenti, soggetti con problematiche psichiatriche e sociali - la crescita dell'intervento penale (e quindi del carcere) è strettamente proporzionale, purtroppo, alla diminuzione delle risorse dedicate ai servizi e agli interventi sociosanitari. Ne è una conferma anche l'assoluta carenza del personale civile penitenziario destinato all'attività di trattamento (parlo di educatori, sociologi, di psicologi e di assistenti sociali). I ruoli organici, già di per sé carenti, presentano situazioni di scoperture patologiche. Gli educatori in pianta sono 1.376, in servizio sono 792: un educatore ogni 82 detenuti. Tutto ciò si riverbera non solo nel sovraccarico di compiti per i singoli ma proprio nel non funzionamento di quel circuito e di quei sistemi che hanno come premessa necessaria proprio l'intervento di quegli operatori. Quindi finisce per prevalere l'area della custodia rispetto a quella della rieducazione individuale, e rare sono le occasioni di lavoro, limitata l'attività scolastica e di formazione professionale, scarse le possibilità di praticare attività diverse a fini risocializzanti. Bisogna evidenziare a questo proposito - ne sento proprio il debito morale - il fatto che il Governo deve essere messo in mora nei confronti dei 397 educatori vincitori del concorso bandito nel 2003, di cui sono stati assunti solo 86 (ne mancano 300 perché 11 hanno rinunciato). Mi chiedo: la mancata assunzione è solo riconducibile alla penuria di fondi? Quando si bandisce un concorso si prevedono di norma anche i soldi per le assunzioni. Come mai questi ritardi? Perché forse non si crede a sufficienza, fino in fondo, da parte del Governo, alla finalità rieducativa della pena prevista dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione? Il fine ultimo e risolutivo della pena deve essere proprio quello del recupero sociale del condannato e un obbligo tassativo che si impone al legislatore ordinario è quello di prevedere i mezzi e gli strumenti per rendere effettiva tale finalità. Il che vuol dire costituzionalizzazione delle misure alternative alla detenzione in fase esecutiva e del sistema organizzativo per il funzionamento delle stesse. La pena non è un qualcosa di rigido, ma, sempre nel quadro della durata della pena detentiva certa, le modalità esecutive possono cambiare in ragione della concessione di misure alternative. Ma per far ciò, la premessa necessaria è che vi sia l'effettiva valutazione da parte di una rete di operatori numericamente e professionalmente attrezzati. Altrimenti, se le scelte politiche economiche vanno in un altro senso, allora è solo demagogia prendersela con la legge, con la legge Gozzini che non funziona o con la magistratura di sorveglianza accusata spesso di essere di manica larga. Il percorso in realtà non si improvvisa, non è automatico; occorre un'equipe interna al carcere che, durante la permanenza del detenuto, ne osservi l'atteggiamento rispetto al reato, l'effettiva volontà di riscatto e, alla fine, con una relazione di sintesi, riferisca al magistrato per il percorso più opportuno. Senza poi parlare del problema, che è cronico ormai, della carenza del personale della polizia penitenziaria, che è al di sotto dell'organico di tantissime unità, così come ha denunciato e dichiarato anche il capo del DAP nelle sue due audizioni in Commissione Giustizia. È del tutto evidente che la reale possibilità per i detenuti di riconquistare la libertà, non solo come capacità di movimento ma anche come capacità di autodeterminazione responsabile nel rispetto dei valori della convivenza civile, dipende ed è strettamente legata ad un carcere che funzioni.
Per questo chiediamo al Governo con questa mozione che si impegni a farlo funzionare e chiediamo che siano favorite le proposte volte all'utilizzo dei fondi quali, ad esempio, quelli cospicui della cassa delle ammende pari a circa 159 milioni di euro per incrementare i programmi di esecuzione esterna e rivitalizzare le misure alternative alla detenzione, se è vero che, come risulta da ricerche del DAP, dopo anni dalla conclusione dell'esecuzione della misura alternativa, la recidiva si verifica nel 19 per cento dei casi, mentre, nello stesso tempo di commisurazione, dopo l'esecuzione in carcere, la recidiva è del 68,5 per cento. Quei fondi, ad esempio potrebbero essere utilizzati in parte proprio per l'assunzione di quegli educatori, quei 300 educatori che mancano all'appello e che sono vincitori di concorso. Purtroppo, siamo stati condannati recentemente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha sancito l'illegalità di una detenzione in condizione di intollerabile sovraffollamento in quanto in palese violazione dell'articolo 3 della Convenzione sul divieto di torture e trattamenti disumani e degradanti. Di qui, la proposta di costruire nuovi carceri. Tuttavia, occorre porre mano con priorità al rifacimento di quelle esistenti spesso fatiscenti. Non può essere una soluzione soltanto quella di porre mano ad interventi normativi con aumento della criminalizzazione e, quindi, con divieto anche per i recidivi di accedere ai benefici che ha aumentato in modo esponenziale la crescita della popolazione carceraria. In questo contesto devono essere favorite le proposte di legge tese alla sostituzione di pene detentive brevi, già al momento della condanna, ovvero ad incentivare condotte riparatorie, subordinando effettivamente la concessione del beneficio della sospensione condizionale, anche per più volte, al risarcimento del danno a favore della vittima.
Il carcere deve essere l'extrema ratio, soprattutto per i minorenni e i giovani adulti fino a 25 anni, nella riaffermazione del principio della flessibilità dell'esecuzione penale secondo cui la pena non è rigida ma sempre nel quadro della durata della pena detentiva certa, le modalità esecutive della stessa mutano in ragione del mutare del percorso, come è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale.
Si impone, quindi, un ripensamento, a breve e a lungo termine, del modello unico di istituto penitenziario attuale, partendo da due considerazioni: la preponderanza nel panorama detentivo di soggetti sottoposti a custodia cautelare per periodi brevissimi (30 mila soggetti in media all'anno trascorrono in un istituto penitenziario periodi non superiori agli undici giorni e poi vengono scarcerati) e inoltre il fatto che i detenuti per i quali si esige un regime di elevata sicurezza non raggiungono le 10 mila unità sui 65 mila che oggi popolano le carceri; mentre per gli altri detenuti, quelli anche di media sicurezza, la detenzione in cella come situazione di normale permanenza quotidiana, anziché la fruizione di spazi comuni, diventa una delle cause del sovraffollamento e anche dell'aggravio dei costi e quindi dell'insufficienza del personale.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ferranti.
DONATELLA FERRANTI. Guardiamo all'Europa e a quanto accade in Spagna dove il classico fortino è riservato ad esponenti della criminalità organizzata o ad autori di efferati crimini con il connesso obbligo di permanenza in carcere, per gli altri vi sono moduli di diversa organizzazione. Quindi, in un sistema carcerario che ha come fine ultimo la riabilitazione e la reintegrazione sociale del detenuto il lavoro dentro e fuori dal carcere rappresenta, insieme all'istruzione e alla formazione professionale, uno strumento privilegiato di prevenzione della nuova criminalità, una forma essenziale, una possibilità concreta di recupero della dignità morale ed umana della persona detenuta.
Con questa mozione, chiediamo un impegno del Governo su questi temi che segni un passo avanti concreto rispetto ad una condivisione di temi che riguardano veramente una delle problematiche della giustizia. Infatti, siamo convinti sino in fondo che la legittimazione dello Stato a punire non può e non deve mai prescindere dalla condizione concreta di esecuzione della pena perché il buon funzionamento del sistema carcerario ed il corretto trattamento dei detenuti sono importanti indicatori del grado di civiltà e di democrazia di un Paese. In particolare, occorre assicurare ai detenuti quella dignità, quel senso di umanità cui la repressione penale, che sia certa e rigorosa ma ispirata poi sempre al recupero, deve in qualche modo sempre guardare.
Quindi, noi confidiamo che vi sia in questo senso uno sguardo attento e vero da parte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, come preannunziato all'inizio chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Vitali, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00309.
LUIGI VITALI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, mi verrebbe da dire subito: «Tanto tuonò che piovve», dando merito ai colleghi radicali di avere, con la loro positiva pervicacia e con loro insistenza, frutto di una sensibilità particolare su questo problema, costretto questa Camera, lo dico tra virgolette, a discutere di una problematica credo importantissima (parafrasando le parole del Presidente del Consiglio è il problema più grave dopo il terremoto d'Abruzzo nel nostro Paese).
Questo avrà il merito - e l'inizio di questa discussione lo dimostra - di far sì che tutte le forze politiche rappresentate in questo Parlamento si assumano delle responsabilità e dicano, come stanno dicendo, in maniera chiara come intendono risolvere il problema e cosa intendono suggerire al Governo per risolvere il problema. Dico subito che condivido - parlo a titolo chiaramente personale perché è il Governo che dovrà valutare l'accoglibilità o meno delle mozioni in esame - tutte le mozioni fin qui presentate, se non totalmente in larghissima parte, soprattutto quella dei colleghi radicali, ma anche quella del Partito Democratico, persino anche quella dell'Italia dei Valori, oltre a quella dei colleghi dell'Unione di Centro.
Abbiamo il dovere di dire in maniera chiara come si intenderà affrontare questa che è diventata un'emergenza non più rinviabile, non soltanto per coloro che, all'interno degli istituti penitenziari, devono scontare una pena per una violazione di legge, ma in condizioni di umanità, in condizioni igienico-sanitarie adeguate, in condizioni di civiltà, ma anche e soprattutto per migliaia di servitori dello Stato che prestano la loro attività all'interno degli istituti penitenziari.
Dunque abbiamo necessità di fotografare alcuni dati dai quali partire per poter fare una diagnosi ed immaginare una terapia per risolvere questo problema. Oggi noi abbiamo 65.000 detenuti, con una percentuale di 700-800 detenuti al mese che si aggiungono all'interno dei nostri penitenziari. Se scomponiamo questa cifra vediamo che un terzo (il 37 per cento) è rappresentato da stranieri, per lo più extracomunitari; un quarto (circa il 27 per cento) da tossicodipendenti. Stranieri e tossicodipendenti raggiungono il 64 per cento della popolazione penitenziaria. Già questo dato dimostra come, risolvendo queste problematiche, noi non incorreremmo in una situazione di emergenza e gli stranieri sono in carcere perché, nella stragrande maggioranza dei casi, non possono ottenere, perché privi di una dimora e di una residenza, una misura alternativa alla detenzione. Quindi questo è già un primo problema.
Oggi non ha più senso che i tossicodipendenti restino all'interno di strutture penitenziarie, perché creeremmo una manovalanza per la criminalità. Vi è necessità di creare strutture alternative, strutture meno afflittive, che interpretino le problematiche psichiche e fisiche di questi soggetti, che diventano criminali per necessità, ma che nascono come malati, come persone che si drogano. Un altro dato impressionante che ci deve far riflettere e che è emerso da questa discussione è che all'interno delle nostre carceri soltanto il 46 per cento sconta una pena definitiva ed il 50 per cento è in attesa di giudizio. Oggi nel nostro Paese è più facile scontare una misura in custodia cautelare preventiva che una pena emessa in maniera definitiva: anche questo è un elemento che dobbiamo assolutamente affrontare.
Inoltre, vi sono indicibili situazioni sanitarie e, con il trasferimento di questa competenza alle regioni, si sarebbe dovuto innalzare il livello di assistenza e, invece, non solo è stato ridotto ma, in molti casi, è stato addirittura eliminato. Questo non è assolutamente possibile.
Tuttavia, questa situazione non è di oggi, ma permane da 60 anni nel nostro Paese. Solo che fino a 15 anni fa il problema si risolveva con un'amnistia o con un indulto che venivano concessi con cadenza quasi biennale. Non possiamo né vogliamo - e questa è la parte che ci differenzia e mi differenzia dalla mozione dei colleghi radicali - risolvere un problema così grave, delegando la funzione deflattiva delle carceri ad un provvedimento di clemenza. Abbiamo bisogno di garantire certezza della pena e sicurezza ai cittadini e, allo stesso tempo, abbiamo il dovere di rendere le nostre prigioni assolutamente conformi ai livelli di civiltà e di democrazia ai quale appartiene e si ispira il nostro Paese.
Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che non tutti i Governi - i quali hanno tutti delle responsabilità - si sono comportati nella stessa maniera di fronte a questi problemi. Voglio ricordare che il secondo Governo Berlusconi - per intenderci il Ministro Castelli - reperì mille miliardi di vecchie lire da destinare all'edilizia penitenziaria. Faccio presente che questo Governo Berlusconi, in particolare il Ministro Alfano, nonostante abbia irrigidito il regime del 41-bis (altro punto su cui il mio modo di vedere non converge con quello dei colleghi radicali) è stato, tuttavia, il primo Ministro a coinvolgere sul problema dell'affollamento dei nostri penitenziari la Comunità europea. Infatti, se è vero come è vero che nelle nostre carceri vi è il 37 per cento di extracomunitari, ciò significa che si tratta non solo di un problema dell'Italia ma di un problema che l'Italia sopporta in nome e per conto della Comunità europea. Inoltre, ha ottenuto l'impegno da parte della Comunità europea di prevedere fondi e finanziamenti per l'edilizia penitenziaria in quei Paesi - Italia compresa - dove si verificano questi fenomeni. Ma ha fatto di più, perché ha reperito 500 milioni di euro all'interno della legge finanziaria da destinare al piano carceri e ha previsto ed ottenuto, all'interno della legge finanziaria, l'assunzione straordinaria di 2 mila agenti di polizia penitenziaria, dando così un segnale di grande sensibilità. Lo stesso non si può dire per i Governi precedenti e soprattutto per l'ultimo Governo Prodi, che ha avuto un altro vantaggio, quello di godere dei benefici di un indulto votato anche dall'allora opposizione. Quel provvedimento venne votato anche dal sottoscritto che non si è poi pentito di quel voto, sebbene vi siano stati molti pentiti. Non mi sono pentito, ho votato quel provvedimento con convincimento e lo voterei di nuovo. Tuttavia, il Governo Prodi ha perso una grande possibilità poiché ha avuto l'opportunità di avere una deflazione delle carceri di 25 mila unità. Ciononostante, non ha adottato un solo provvedimento che potesse attrezzare il nostro sistema penitenziario ad un ritorno di quella popolazione penitenziaria.
Dunque, dobbiamo capire quali sono le ragioni di questo tipo di affollamento all'interno dei nostri penitenziari per individuare il modo di evitarlo. Innanzitutto, dobbiamo fermarci nella corsa ad un sistema panpenalistico. Infatti da molti anni - e mi riferisco al legislatore - abbiamo reso tutto penalmente rilevante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), forse per metterci a posto la coscienza e per andare incontro alla pancia degli elettori.
Invece, abbiamo bisogno di depenalizzare, perché oggi le carceri devono essere quello strumento di detenzione per quelle persone che non possono essere diversamente rieducate e riportate all'interno di un contesto sociale. La presenza degli extracomunitari è un fenomeno che ormai nel nostro Paese non ha origini antichissime, perché questo fenomeno si è verificato dal 1994 in poi. Inoltre, vi è una massiccia presenza di tossicodipendenti e anche questo è un problema che dobbiamo affrontare non solo, colleghi della rappresentanza radicale, modificando il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti.
Una restrizione dei benefici della legge Gozzini. Nella filosofia dei Governi di centrodestra - che io stesso ho condiviso - c'era il principio di consentire l'accesso alle misure alternative previste dalla legge Gozzini non a tutti sempre e indiscriminatamente, ma soltanto a quelle tipologie di cittadini che violavano la legge che consentissero di immaginare un recupero.
Per molto tempo nel nostro Paese si sono dati benefici a tutti e sempre in qualunque circostanza e, quindi, si è creato un sistema di restrizione, un sistema quasi di meritocrazia all'interno di questo ambito. Tuttavia, allo stesso tempo, non siamo stati capaci di attrezzarci per sostenere l'impatto della popolazione di detenuti che sarebbe emersa da questo tipo di politica.
Vi sono da considerare, inoltre, le lungaggini processuali. L'affollamento delle nostre carceri non è solo un problema di espiazione della pena, ma un problema complessivo e processuale, collegato alla lungaggine dei processi nel nostro Paese. È vero: la Corte europea dei diritti dell'uomo ci ha sanzionato per il caso di quel detenuto extracomunitario perché non disponeva dei tre metri quadrati ritenuti convenzionalmente il minimo da assegnare ad ogni recluso.
Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell'uomo ci condanna reiteratamente per la lungaggine dei nostri processi, quindi abbiamo il dovere di porre un rimedio a quella condanna che attira la nostra attenzione sulle condizioni di espiazione della pena dei nostri detenuti, ma anche il dovere di affrontare in maniera organica e sistematica il problema.
Ho sentito tanti buoni propositi quest'oggi e mi auguro che, quando si comincerà a parlare di proposte concrete, questi propositi non rimangano soltanto all'interno di un dibattito parlamentare, ma possano diventare anche un fatto concreto di collaborazione.
Nella nostra mozione affermiamo che è assolutamente necessario l'intervento di 2 mila agenti della polizia penitenziaria, che non soddisfano neanche la carenza che si ha oggi. Vi sono, infatti, 6 mila appartenenti alla polizia penitenziaria in meno rispetto ad una pianta organica bilanciata ad una presenza penitenziaria di 45 mila unità. Vi sono 65 mila detenuti e ci sono 6 mila poliziotti in meno rispetto ad una detenzione di 45 mila.
Oltre alle 2 mila unità previste nella legge finanziaria, chiediamo che il Governo si impegni ad assumere tempestivamente ulteriori poliziotti penitenziari. Il carcere non è fatto soltanto di polizia penitenziaria, ma anche di educatori e di assistenti sociali ed abbiamo bisogno di prevedere l'assunzione - chiediamo che il Governo lo faccia - di educatori, oltre che di personale amministrativo: vi sono 3.186 unità in meno di personale amministrativo e non è possibile rispondere con un organico di 700 educatori ad una popolazione di 65 mila detenuti.
Quindi anche su questo ci aspettiamo che il Governo assuma impegni concreti e soprattutto che adegui quel fondo di 500 milioni di euro stanziato nell'ultima legge finanziaria e che lo rimpingui per consentire un programma adeguato di edilizia penitenziaria nel quale si prevedano istituti differenziati. I tossicodipendenti non possono e non devono stare in un istituto penitenziario normale.
Gli extracomunitari non hanno bisogno, il più delle volte, di quei controlli e di quella disciplina che è necessaria all'interno di un istituto penitenziario. Si devono creare dei centri di accoglienza per l'extracomunitario se non è possibile che vada a scontare la pena all'estero, e anche su questo il Ministro Alfano si è impegnato e si sta impegnando moltissimo per sottoscrivere accordi bilaterali che consentano l'espiazione della pena nei Paesi di origine.
Infatti, vi è un vincolo costituzionale per cui è il cittadino che decide dove vuole espiare la pena e se in Italia ci sono, nonostante l'affollamento, condizioni migliori rispetto a quelle che si hanno nei propri Paesi, evidentemente non possiamo sottrarci alla necessità di far scontare la pena nel nostro Paese. Dobbiamo creare delle strutture alternative dove anche gli extracomunitari possano avere la possibilità di accedere a strumenti alternativi di detenzione come i tossicodipendenti.
Da un'indagine fatta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è venuto fuori che il 20 per cento dei detenuti soffre di patologie psichiatriche. Anche questo è un elemento da prendere in considerazione. Chi soffre di depressione, chi soffre di psicosi, chi soffre di problemi neurologici, ha bisogno di strutture più leggere e specialistiche dove possa alleviare queste patologie e non essere invece inserito in contesti di detenzione normale.
Inoltre, vogliamo anche porre mano ad una riforma organica della giustizia a partire - come ho sentito dire - dalle forme alternative di detenzione.
Voglio ricordare che il Ministro Alfano qualche mese fa era sul punto di presentare un disegno di legge che introduceva l'istituto della messa alla prova, così come è previsto nell'ordinamento minorile, e ci fu una grande levata di scudi, per la verità anche all'interno della mia maggioranza, che costrinse il Ministro a ritirare quel disegno di legge.
Oggi, leggendo le mozioni di tutti i gruppi parlamentari, viene riproposta questa misura. Personalmente ho presentato una proposta di legge in questo senso e auspico che il Ministro riprenda nuovamente questo percorso.
Se c'è un istituto che ha ben funzionato e ben funziona all'interno del sistema minorile, non ho capito per quale motivo non possa essere introdotto - visto che stiamo parlando di forme alternative di detenzione - nel nostro sistema. Anche questo servirebbe a deflazionare le nostre carceri, come sarebbe anche importante stabilire una differenziazione nell'espiazione della pena per quei reati che non incutono un particolare allarme e non prevedono una particolare pericolosità sociale.
Quindi, queste sono le cose che domandiamo al Governo sul quale chiediamo un impegno, oltre a favorire tutte le forme possibili di incentivazione al lavoro all'interno degli istituti penitenziari, oltre a prevedere tutte le forme di innalzamento dei livelli assistenziali e sanitari all'interno dei nostri istituti, oltre a prevedere la possibilità di non assistere più a quello scempio di vedere oggi nel nostro Paese 71 bambini all'interno delle nostre carceri. Ci possono essere delle strutture diverse, delle comunità, delle case famiglia all'interno delle quali le donne con figli fino a tre anni possano scontare, in un sistema e in una maniera più civile e più degna, la pena per quello che hanno commesso.
Queste sono le cose che noi chiediamo al Governo dopo aver detto che gran parte dei suggerimenti delle mozioni degli altri gruppi sono, per quel che ci riguarda, assolutamente condivisibili.
Voglio concludere ancora una volta ringraziando i colleghi della componente dei radicali e dicendo, con la stessa franchezza e con la stessa sincerità con la quale ho evidenziato il loro impegno a portare questo argomento in Parlamento, che mi auguro che non si creino fuori da questo Parlamento delle aspettative con le nostre parole e con le nostre dichiarazioni per quel mondo penitenziario che è giusto che richieda ad uno Stato civile un adeguamento delle condizioni di vita. Ma non creiamo delle aspettative promettendo o facendo immaginare che ci possano essere provvedimenti clemenziali.
Noi non riteniamo che questa sia la strada, cioè non pensiamo che si possano deflazionare le carceri con provvedimenti clemenziali. Riteniamo che ci debbano essere provvedimenti strutturali e organici e ci impegniamo ad adottarli, perché non vogliamo sacrificare le esigenze di sicurezza e non vogliamo abdicare alla necessità che vi siano una pena e un'espiazione certa, sia pure in maniera civile.
Quindi, anche per quanto concerne il 41-bis, riteniamo che non possa essere accettata la richiesta di quanti ritengono di dover proporre una modifica. Infatti, per noi il carcere duro non deve essere tale nell'espiazione e nelle condizioni di vivibilità, ma nella impossibilità di mandare all'esterno delle indicazioni e di creare dei contatti con l'esterno. Infatti, l'esperienza ci insegna che la criminalità organizzata (che è una «mala pianta» che non soltanto dobbiamo cercare di far seccare, ma che dobbiamo estirpare e siamo ancora molto lontani da questo risultato) utilizza tutti gli strumenti per poter, anche dalle carceri, inviare ordini al di fuori.
Quindi carcere duro non violando i principi minimali di convivenza civile all'interno delle carceri, ma carcere duro cercando di evitare le possibilità di contatto con l'esterno per quei soggetti che appartengono ad un mondo che troppo spesso ferisce anche lo Stato, non soltanto i cittadini, con la morte nell'adempimento del dovere di molti suoi servitori.
Quindi, ben vengano i suggerimenti e le iniziative che possono portare il nostro Paese ad un livello di civiltà degno della nostra storia e della nostra cultura, ma senza modificare alcune garanzie minimali che sono garanzie per le istituzioni e per i cittadini.
Per questo noi chiediamo al Governo un impegno chiaro e siamo sicuri che esso saprà dare le risposte adeguate, pur nella contingenza economica sicuramente non favorevole, pur avendo dovuto affrontare problemi come il terremoto in Abruzzo e la necessità di potenziare gli ammortizzatori sociali e la cassa integrazione, venendo incontro alle esigenze dell'industria per salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Credo che il Governo saprà essere capace di interpretare anche l'esigenza di porre fine a questo spettacolo che il nostro Paese non può e non deve permettersi il lusso di consentire (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.
GUIDO MELIS. Signor Presidente, lo scorso mese di dicembre ho passato quasi tre ore nel carcere circondariale di Sassari, era la terza volta da quando sono deputato che ho visitato questa struttura. Essa è ancora ospitata in un edificio ottocentesco fatiscente, l'edificio di San Sebastiano al centro della città. Dico «ancora» perché, come più volte ribadito dal Ministro e dal sottosegretario anche in risposta ad una mia specifica interrogazione ormai vecchia di quasi un anno, questo carcere dovrebbe essere interamente trasferito in altro edificio più idoneo, da anni in fase di costruzione; solo che l'inaugurazione del nuovo complesso, prevista tassativamente entro il 2010, slitterà quasi sicuramente - dicono notizie oramai ufficiali - almeno al 2011, se non oltre. Intanto però questo edificio è in funzione ed è, senza timore di smentite, il peggior carcere che abbiamo in Italia, ed è per questo motivo che ho cominciato citando questa situazione. Si tratta di una costruzione, come ho detto, fatiscente: il piano superiore è a rischio di crollo e perciò è stato sgombrato; 200 detenuti sono ammassati in celle anguste - altro che standard europei! - con quattro o sei persone in celle di tre metri per due, senza luce, con poca aria, al caldo d'estate e al freddo d'inverno. Il mese scorso il riscaldamento centrale era interrotto perché il fornitore della nafta non era stato pagato dal Ministero; esistono anche queste miserie nella situazione che stiamo descrivendo. Ci sono delle condizioni di promiscuità subumane; 125 tossicodipendenti, come diceva il collega Vitale. Il personale di grande professionalità è umiliato, ampiamente sotto organico: su una pianta di 212 solo 168 sono in servizio effettivo. L'ora d'aria avviene in uno squallido cortile riparato da una tettoia di lamiera; sui servizi igienici è meglio soprassedere; vi sono gravi problemi perfino nell'assicurare la pulizia ordinaria dei locali. La direttrice del carcere di Sassari mi ha riferito che i tagli recenti incidendo sul capitolo delle mercedi - un'inezia sembrerebbe - impediscono di utilizzare i detenuti nelle piccole pulizie quotidiane; sicché anche questo aspetto sta peggiorando velocemente.
Signor Presidente, Sassari non è un'eccezione, ho visitato l'anno passato diverse carceri: a Rebibbia nuovo complesso a Roma, un carcere molto più moderno, i problemi strutturali che ho elencato si ripresentano puntualmente. Anche in questo caso c'è poco personale, demotivato, lasciato a se stesso; locali ampiamente insufficienti a contenere un flusso di detenuti sovradimensionato; detenzione comune tra condannati a reati anche gravissimi e persone in attesa di giudizio. A Rebibbia nuovo complesso un folto gruppo di detenuti di nazionalità romena, condannati in primo grado per reati vari, ha chiesto di poter scontare la pena nel proprio Paese, rinunciando perciò ad esperire l'appello contro le sentenze che li condanna, ma non ci riescono. Abbiamo interrogato su questo specifico punto il Ministro che ci ha dato ampie rassicurazioni, ma siamo ahimè sempre al punto di prima, perché in Italia non solo non si fanno le riforme grandi ma neppure si mettono in pratica i rimedi piccoli, quelli che intanto potrebbero alleviare almeno un poco situazioni già gravemente compromesse.
A Rebibbia c'era in luglio un detenuto romeno - ci ho parlato a lungo - ammalato di cancro.
Gli erano state interrotte le cure anche per effetto del disordine nel quale è avvenuto il passaggio dalla sanità gestita dal Ministero della giustizia alla sanità gestita dalle ASL, con interruzioni, spesso, dell'assistenza. Anche in relazione a questo episodio una mia interrogazione sul punto al Ministro competente è rimasta, dopo oltre sei mesi, senza risposta.
La sequenza dei morti nelle carceri italiani è impressionante, l'hanno ricordato già molti colleghi, muoiono persone giovani, giovanissime. Nel 2009 ci sono stati 171 morti, undici nel solo mese di novembre, dei quali otto in giovane età, stroncate dal mal di carcere, suicidi, overdose, morti che spesso restano senza una spiegazione. I detenuti morti in questo modo dall'inizio dell'anno sono 159, 72 sono i suicidi accertati, ma chissà quanti sono, invece, i suicidi reali e il 60 per cento di questi detenuti era in attesa di giudizio. In Italia ogni anno muore in carcere un detenuto su mille, dicono le statistiche, contro il dato, per esempio, degli Stati Uniti che è di un detenuto su quattromila.
I quotidiani degli ultimi giorni hanno provato a stilare l'elenco di questi morti sconosciuti: se ne perde il conto. Voglio qui ricordare, a titolo di mero esempio, due casi, ancora di detenuti romeni, perché mi sto occupando in particolare di questa popolazione carceraria: quella di Cristian Lupu, a Frosinone, di 24 anni, suicidatosi, secondo i carabinieri, dando testate sulle pareti della cella nella quale era custodito (ma l'espressione «custodito» naturalmente è un eufemismo!) e quello avvenuto la scorsa settimana di Sorin Kalin, a Montecatini, morto in caserma, secondo fonti ufficiali, per essersi suicidato. Nessuno ne sa più nulla.
Di recente ho visitato la struttura dell'ospedale Pertini di Roma, dove è morto il povero Stefano Cucchi, un caso sul quale il vicesegretario del mio partito, l'onorevole Enrico Letta, ha poco tempo fa sollecitato energicamente il Presidente del Consiglio ad intervenire di persona ed ha fatto benissimo. Questo ragazzo, che avrà fatto pure fatto uso di droghe, che avrà pure commesso i reati che gli si addebitavano, è stato prelevato dai carabinieri e, da quel momento, era quindi sotto la responsabilità dello Stato italiano ed è deceduto perché selvaggiamente percosso, non si riesce ancora a sapere da chi, come, perché, in quali circostanze e in quali luoghi nella colpevole inerzia di tutte le strutture che lo hanno avuto in custodia. Nessuno, dico nessuno, dei medici che l'hanno visitato (e sono stati quattro o cinque, non ricordo bene) ha sentito il bisogno e il dovere di denunciare quanto stava accadendo all'autorità giudiziaria, come sarebbe stato suo preciso dovere.
Signor Presidente, ma in quale Paese viviamo? Di casi come questo di Stefano Cucchi, venuto alla luce anche per il coraggio ed il senso civico dei suoi familiari, come è stato ricordato dall'onorevole Rao, ce ne sono moltissimi, censurati, letteralmente sepolti nell'indifferenza delle autorità, nella debolezza stessa di chi li subisce e non ha la forza e il coraggio di denunciarli. Siamo un Paese a democrazia limitata perché solo in questo modo si può definire una situazione nella quale il sistema delle garanzie costituzionali non riesce ad oltrepassare i cancelli del carcere.
Molte cose si potrebbero e si dovrebbero fare. Non ci venite a dire che tutto si risolverà con il piano carceri però, siamo stanchi di sentir parlare di questo fantomatico piano carceri, ne sentiamo parlare ormai da più di un anno. Il Ministro stesso ammette che i finanziamenti non sono disponibili. Qui il problema è molto più serio, richiede intanto una presa d'atto da parte dell'intera classe dirigente, a cominciare dalla politica. Mi auguro che l'occasione dell'esame di queste mozioni possa essere l'inizio della riflessione collettiva che dobbiamo svolgere, innanzitutto su una politica concreta di depenalizzazione - ha ragione l'onorevole Vitali - di ricerca di pene alternative, l'esatto contrario di quanto state facendo, però, da quando siete al Governo, penalizzando sino al parossismo ogni angolo del codice. Il reato di clandestinità, che tanto ha gravato nel riempire le nostre carceri, non l'abbiamo inventato noi, l'avete inventato voi e ce lo avete imposto a colpi di voti di fiducia.
Credo che la situazione richieda anche un po' di umiltà: ci sono cose anche piccole che possono essere fatte subito, allora facciamole, anche insieme. Mi fa piacere ricordare qui una battuta dell'onorevole Lener che, parlando di carceri, qualche tempo fa, suggerì con un'espressione forse un po' cruda, ma che rende bene l'idea di applicare - diceva - la raccolta differenziata, evitando di mettere insieme detenuti condannati e pluricondannati con persone in attesa di giudizio o condannate a pene lievi distinguendo la detenzione per tipi di reati.
Magari, aggiungo, affrontando il paradosso che un'altissima percentuale di ospiti nelle nostre carceri trascorre in detenzione solo pochi giorni e poche notti (l'effetto «porta girevole», come l'ha chiamato una volta l'onorevole Tidei). Ciò suggerisce che si potrebbe subire altre forme meno invasive e pesanti di carcerazione provvisoria.
Mi ha molto colpito quello che ha detto l'onorevole Vitali oggi ed è significativo che lo dica un esponente della maggioranza, ma alle parole naturalmente bisogna far seguire i fatti. Bisogna, insomma, affrontare il problema in tutte le sue reali dimensioni, da quelle strutturali a quelle più occasionali, sulle quali è possibile intanto agire immediatamente e naturalmente accrescere l'investimento. Non si può, infatti, applicare il «Tremonti pensiero», tagliando in maniera uniforme dappertutto: non tutte le materie hanno la stessa valenza. Questa è una materia che ha un nesso con la civiltà giuridica del nostro Paese e non si possono fare risparmi e consistenti tagli in una materia come quella che ci troviamo di fronte. Dobbiamo essere capaci di scegliere e la scelta ci deve indurre a non tagliare sulle carceri.
È possibile agire, naturalmente è possibile accrescere l'investimento, non tagliare fondi, assumere il personale che necessita, curarne di più la selezione e la formazione. Il carcere è una grande questione nazionale e sarebbe ora che venisse messa nell'agenda del Governo e del Parlamento nel posto che le spetta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro sistema penitenziario, come già detto, versa in una condizione drammatica e direi sicuramente vicina al collasso. Il problema fondamentale è arcinoto ed è quello del sovraffollamento ormai a livelli insostenibili. L'ultimo dato del Dap, come è stato già detto, al 7 dicembre riferisce di 65.780 detenuti di cui quasi il 38 per cento stranieri e quasi la metà in attesa di giudizio definitivo. Siamo oltre 22 mila unità in più rispetto alla capienza regolamentare dei 206 istituti: un esborso astronomico per le casse dello Stato. Se è vero come risulta che un detenuto costa 300 euro al giorno, si tratta di un salasso di quasi 20 milioni di euro al giorno.
Il sovraffollamento, certamente quantitativo ma anche qualitativo, è diventato ormai una vera e propria pena accessoria - questo è il problema - per i reclusi che costringe in pochissimi metri quadrati, giovani e adulti, imputati e condannati di diverse razze e religioni, sani e con problemi di tossicodipendenza quando non addirittura di sieropositività: tutti costretti a convivenze difficilissime. Inutile dire come tale situazione ostacoli la possibilità di un proficuo contatto con gli operatori penitenziari dediti al trattamento, impedendo di fatto ogni tentativo di risocializzazione del detenuto che l'articolo 27 della Costituzione invece garantisce.
Ci sono stati casi assurdi denunciati dall'Osapp come quello di Milano San Vittore, dove i reclusi sono più di 1.500 a fronte di una capienza di regolamento di 800 posti letto, o quello di Napoli, Poggioreale, dove la situazione è, se possibile, ancora peggiore con circa 2.700 detenuti dove al massimo ce ne potrebbero essere 1.400, e con camerate da 15 posti letto che ne ammassano 40 con letti a castello fino al quarto piano (e stiamo parlando di letti a castello). A fronte di una media di mille nuovi ingressi al mese, a fine 2009 si è arrivati quasi a 66 mila detenuti. Le strutture carcerarie italiane non appaiano assolutamente in grado di sopportare a lungo un simile carico umano.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, è stato già detto, con sentenza del 16 luglio 2009 ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali proprio a causa delle disumane condizioni di detenzione sopra indicate. Il noto piano straordinario carceri del Governo, atteso ormai da aprile, appare come l'araba fenice. La mancanza di risorse è drammatica e i 500 milioni di euro della legge finanziaria per l'anno 2010 permetteranno eventualmente solo un primo stralcio dei lavori, senza contare che i tempi medi di realizzazione di nuove carceri, tra gare, ricorsi al TAR e intoppi vari, non sono certamente inferiori a cinque anni.
Voglio qui riferire di un fatto che la stessa trasmissione pubblica Striscia la notizia ci ha più di una volta documentato. Famoso è il carcere di Gela: dotato di 48 celle, tutte con servizi igienici, progettato nel 1959, finanziato nel 1978, cantiere aperto nel 1982, ultimato mezzo secolo dopo la progettazione, è stato inaugurato dall'allora Ministro della giustizia Mastella nel novembre 2007. Il provveditore regionale siciliano all'amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo, ne ha ipotizzato l'apertura il 1o luglio 2010. Dal 1959 al 2010! Incredibile, è passato mezzo secolo dal momento in cui è stato progettato al momento in cui sarà, se sarà, aperto nel luglio 2010.
Appare, quindi, miope l'atteggiamento del Governo, che, nel puntare solo sull'edilizia carceraria, in maniera più lungimirante dovrebbe, invece, attuare una seria politica di depenalizzazione, affiancata ad un ripensamento delle normative sulla sicurezza dei cittadini, volte alla sola repressione sul versante penale.
Allo stesso modo, appare necessaria un'azione riformatrice, volta all'ampliamento dell'applicazione delle misure alternative. Se ne parla, se ne parla, ma difficilmente, poi, si va su questo sentiero, che è quello probabilmente più necessario.
Da qualche anno il sistema delle misure alternative è statisticamente in netta discesa. In particolare, i tossicodipendenti, che sono autori per lo più di reati non gravi, andrebbero «decarcerizzati». È necessario trovare uno strumento che ne permetta l'uscita dal circuito detentivo e l'inserimento in strutture sanitarie protette, a custodia attenuata, che permettano di conciliare le esigenze di cura con quelle rieducative, perché sappiamo tutti che dentro il carcere il tossicodipendente non viene curato, non viene assolutamente risocializzato.
In generale, la sanità penitenziaria appare lontana dall'assicurare a tutti i detenuti il diritto alla salute costituzionalmente garantito. Il passaggio a regime delle competenze del Servizio sanitario avanza a macchia di leopardo e le dotazioni finanziarie alle regioni arrivano con il contagocce. Più di una ha dovuto mettere mano al portafoglio, magari solo per l'acquisto di medicine.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 2 per cento dei detenuti è portatore di HIV; il 17,9 per cento, cioè circa il 18 per cento, è risultato positivo al test della TBC: parliamo di tubercolosi, malattia che pensavamo praticamente debellata.
Il 38 per cento dei detenuti soffre di epatite e ben 15 mila risultano essere tossicodipendenti. Di questi, soltanto il 4,5 per cento è in trattamento metadonico, solo il 4,5 per cento. Pensiamo, poi, che negli ultimi dieci anni, come è stato già detto, su 1.500 detenuti che sono morti nelle nostre carceri, ben un terzo sono morti per suicidio.
Regime alimentare, mancanza di movimento, scarsa salubrità degli ambienti, grande consumo di sigarette - è ovvio, inevitabile - sono alcuni dei fattori che tendono a spiegare perché fra i carcerati siano maggiormente diffuse, rispetto alla popolazione libera, malattie quali quelle cardiologiche, che in genere colpiscono persone più giovani rispetto all'esterno, le broncopneumatie croniche ostruttive e le patologie osteoarticolari.
La diffusione degli psicofarmaci - ne parlava l'onorevole Vitali - spesso introdotti abusivamente in carcere, testimonia un disagio e una scarsa tutela della salute mentale, che avrebbe, invece, un ruolo decisivo nella prevenzione dei fenomeni di autolesionismo, più o meno gravi, e indiscutibili effetti positivi anche nella custodia.
È indubbio che in carcere si muoia troppo spesso, a volte in situazioni poco chiare. Nel recente dossier «Morire di carcere», scriveva Ristretti orizzonti, esiste un protocollo per quanto riguarda la gestione dei casi a rischio di suicidio. Badate bene, questo è un fatto che credo dobbiamo tenere bene a memoria: il detenuto viene messo in cella di isolamento, una cella che a volte, in termini tecnici, viene detta «liscia». Significa, cioè, che dietro le sbarre non ci sono oggetti che il carcerato possa usare: non c'è una branda, non ci sono coperte né armadietti, nessun lenzuolo e nemmeno il bagno. L'isolamento spesso è accompagnato dalla camicia di forza chimica, ovvero dagli psicofarmaci. Per 60 suicidi che avvengono, ogni anno ci sono 500 tentativi. Il 70 per cento di questi tentativi viene sventato dai compagni di cella.
È per questo che viene contestato dagli addetti ai lavoratori e dalle associazioni di settore l'isolamento come strumento di prevenzione, tant'è che non è così. Più in generale, il regolamento di esecuzione dell'ordinamento carcerario prevederebbe centri clinici e chirurgici dislocati sul territorio nazionale per rispondere alle necessità sanitarie della popolazione. Eppure, in tutto il territorio nazionale, ve ne sono soltanto due: uno a Pisa e uno a Roma, a Regina Coeli. E nel resto dell'Italia cosa è successo?
Va detto infine, a dimostrazione di quanto sopra, che oggi il trasferimento al Servizio sanitario nazionale, che doveva avvenire dal 1o ottobre 2008, non c'è stato, di fatto. Le risorse non ci sono; sui 157,8 milioni che dovevano essere dati nel 2008 ne sono stati assegnati solamente 32; il che significa che il resto è stato messo dalle regioni: come segnalato in numerose interrogazioni parlamentari, in gran parte delle regioni pochi soldi sono arrivati, e sono state poi le regioni stesse, più oculate, che hanno dovuto anticipare risorse per garantire livelli minimi di assistenza ai detenuti.
Un esempio per tutti: è passato oltre un anno dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PIETRO TIDEI. Un altro minuto e ho concluso, signor Presidente. E anche qui dobbiamo dire che tutte le proposte, tutte le indicazioni non sono state minimamente attuate. Peccato che l'onere di tutto ciò sinora ha gravato sulle regioni che hanno autonomamente attivato iniziative interessanti.
In ultimo - e concludo, signor Presidente - è la situazione del personale che va assolutamente adeguata alle impellenti esigenze dettate dal sovraffollamento: mancano 6 mila agenti, 500 educatori e altri assistenti sociali, personale di custodia e di trattamento, che la grave carenza costringe a lavorare in condizioni drammatiche, difficili e frustranti, rendendo peraltro difficile - e questo è importante - la valutazione della magistratura di sorveglianza sull'applicazione dei benefici carcerari e delle misure alternative.Vorrei quindi concludere con le stesse parole con cui pochi giorni fa si è chiuso un convegno a Palazzo Valentini sul sistema carcerario. Successivamente alla legge cosiddetta Gozzini si parlò con entusiasmo del «carcere della speranza»: dopo oltre dieci anni di proposte, di dibattiti e di totale indifferenza, dico io, è il caso di parlare di «carcere della disperazione», e tale rimarrà se Governo e Parlamento non considereranno prioritaria e centrale la riforma del sistema carcerario e di quello giudiziario. Altro che riforme ad personam, che non risolveranno mai questi problemi, ma che forse salveranno il Capo del Governo dai processi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Tidei, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, il dibattito in corso sulla situazione del sistema carcerario italiano incrocia diverse sensibilità e diversi punti di vista da parte dei rappresentanti dei diversi gruppi. Si è parlato unanimemente di sovraffollamento, e sotto la voce «sovraffollamento» in realtà si annidano diverse altre questioni molto importanti, che non attengono soltanto alla quantità dei detenuti presenti nelle carceri italiane. Vi sono, è vero, questioni che riguardano l'edilizia carceraria, vi sono questioni che riguardano la presenza di molti detenuti in custodia cautelare: il collega e amico Vitali ha fornito cifre concrete da questo punto di vista, esemplificative della situazione carceraria presente in questo momento.
Vi sono però poi questioni relative a persone detenute in custodia cautelare, relative all'eccessiva lunghezza dei nostri processi; vi sono quantità importanti di stranieri, spesso extracomunitari, e la questione dei rimpatri di tali stranieri. Vi è, ancora, la questione dei tossicodipendenti in carcere, di coloro che sono in carcere per reati legati al Testo unico sulle tossicodipendenze. Vi sono patologie psichiatriche, citate in ultimo dal collega che ha parlato prima di me, e inoltre la questione delle condizioni sanitarie, del contributo al sistema sanitario che le regioni devono fornire, le condizioni dei rapporti familiari dei detenuti, il problema dei bambini, 71 bambini attualmente detenuti nelle carceri italiane.
Abbiamo poi l'altro versante, quello di coloro che nel carcere operano, quindi la polizia penitenziaria sotto organico, con la necessità di un numero maggiore di educatori, un numero maggiore di assistenti sociali, di psicologi, di psicoterapeuti, e la questione del lavoro in carcere, e di un binario di reinserimento per coloro che vivono l'esperienza carceraria e scontano la pena.
Tutti questi elementi sono all'ordine del giorno di questo dibattito, e sono oggetto delle mozioni presentate dai gruppi.Ritengo che il Ministro Alfano e il sottosegretario Caliendo che, in rappresentanza del Ministero oggi è qui a seguire con attenzione la questione in oggetto, abbiano dato prova, nel corso di vicende che hanno riguardato la situazione delle carceri italiane, di una grande sensibilità su questo tema che è, lo sottolineo, molto importante. Credo anche che le parole - le ricordava il collega Rao nel corso di questa discussione sulle linee generali - pronunciate dal Capo dello Stato sul medesimo tema nel suo intervento di fine anno, siano certamente da cogliere come un auspicio. Questa discussione sulle linee generali stessa è un segnale importante di un'attenzione del legislatore al tema in oggetto, alla popolazione carceraria e agli operatori che lavorano all'interno del medesimo contesto.
Credo che tutte queste proposte, delucidate dal collega Vitali nella mozione che porta la sua prima firma, siano importanti, serie e in grado di dare risposte anche concrete a molte delle questioni - forse non a tutte - emerse all'interno di questo dibattito. Credo che il tema centrale sia quello di riuscire a commisurare in maniera dignitosa le due grandi funzioni che la nostra Costituzione attribuisce al sistema carcerario anche cercando pene alternative, senza inseguire sempre e comunque la deriva di penalizzazione di qualsivoglia reato, come giustamente diceva l'onorevole Vitali, ma cercando di commisurare da un lato la funzione punitiva della pena e dall'altro quella rieducativa, ben sapendo che le condizioni carcerarie sono lo specchio della civiltà di un Paese.
Pertanto, anche le condizioni delle carceri italiane devono essere all'altezza di una grande civiltà di un Paese, la cui storia e in specie l'opera Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria testimonia una sensibilità su questo tema. Credo che il Governo possa impegnarsi e fare molto, che stia dando segnali importanti e che possa cogliere l'occasione di questo dibattito per dare ulteriori segnali importanti di attenzione per la soluzione dei problemi in oggetto che sono - lo ripeto - la cartina di tornasole del livello di civiltà di un Paese democratico, civile e moderno come l'Italia è e deve continuare ad essere (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Bernardini ed altri n. 1-00288 e Vietti ed altri n. 1-00240 concernenti la situazione del sistema carcerario italiano
(ore 15,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bernardini ed altri n. 1-00288 e Vietti ed altri n. 1-00240 concernenti la situazione del sistema carcerario italiano (vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Pag. 15
Avverto che sono state presentate le mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00301, Franceschini ed altri n.1-00302 e Vitali ed altri n.1-00309 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Vietti ed altri n. 1-00240 è stata riformulata dai presentatori. Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00288. Ne ha facoltà.
RITA BERNARDINI. Signor Presidente, mi rivolgo anche ai colleghi deputati e al signor rappresentante del Governo. Avendo a disposizione dieci minuti, voglio concentrare il mio intervento sulle parti più ostiche ma, secondo me, molto importanti della mozione che ho depositato assieme alle firme di altri 92 deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari presenti in quest'Aula.
Il primo punto che voglio affrontare è quello dell'amnistia, una parola divenuta impronunciabile in questo nostro Paese, e l'altro tema a cui tengo molto è quello che riguarda il 41-bis. Per il resto, rimando alla lettura responsabile da parte di ogni deputato del testo della mozione presentata.
Credo che noi dobbiamo dirci che l'illegalità delle carceri italiane è solo la parte terminale, direi forse la più straziante per chi le ha visitate e per chi ha contattato cella per cella i detenuti e le detenute italiane, di un apparato giudiziario che da decenni (da questo punto di vista devo dire che non possiamo affermare che ci sono Governi più colpevoli di altri) è incapace di produrre giustizia, tanto che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato infinite volte l'Italia.
Voglio rifarmi alle parole pronunciate in quest'Aula quasi un anno fa, ossia il 27 gennaio del 2009, proprio dal Ministro della giustizia Angelino Alfano, il quale ha detto: quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all'attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti. Ha parlato poi di 5 milioni e mezzo di procedimenti (con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti) ed ha aggiunto: il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente senza riuscire neppure ad eliminare un numero pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema.
Dunque, secondo i dati ufficiali, in Italia l'arretrato pendente sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali che sarebbero molti di più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben due milioni di prescrizioni. È stato il Ministero della giustizia a fornirci questi dati: circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno.
Credo che occorra essere consapevoli che, in un contesto del genere, i concetti di pena certa e di esecuzione reale della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi, se non del tutto fuorvianti.
In questo quadro e per queste ragioni - contro l'amnistia che già esiste, ma della quale nessuno parla, anonima, banale, di classe ed illegale chiamata prescrizione - solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti di una capienza regolamentare e, dall'altro, l'eliminazione di più della metà dei procedimenti penali pendenti. Ciò darebbe il via e sarebbe la spinta a quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono seriamente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione.
Ricordo che su questo c'era stato anche un impegno del Governo a presentare in tempi brevi un'ampia e strutturale riforma della giustizia.
Ricordo anche che è passato un anno e che ciò che abbiamo visto fino a questo momento, ovvero i progetti presentati, non rientra certo in questa categoria. Le cifre non ve le dirò oggi, perché il tempo è quello che è, ma sono le cifre che, grazie alle iniziative dei parlamentari che sono entrati nelle carceri a Ferragosto (e non solo: anche a Natale, Capodanno e durante tutto l'anno), sono state pubblicate su giornali. Sono le cifre di uno strazio e di un dolore continuo purtroppo ben rappresentato dall'immagine di Stefano Cucchi o di Aldo Bianzino.
Si tratta di immagini di persone arrestate e affidate nelle mani dello Stato e che sono state ridotte come le abbiamo viste, in particolare per Stefano Cucchi dalle immagini che per la volontà di una famiglia seria e responsabile sono state trasmesse a tutti.
Quindi, non possiamo dire di non sapere. Noi tutti in quest'Aula - ci ascoltano dalle carceri - sappiamo quale è questa realtà. È la realtà delle oltre 160 morti del 2009 e dei 72 suicidi. Questa è la realtà.
Veniamo al 41-bis, che è l'altro argomento scomodo del quale non si può parlare. Anche in questo caso mi rifaccio alle parole del Ministro della giustizia, quando ha detto che il 41-bis è una norma che si colloca ai limiti del disegno costituzionale, essendo uno strumento volto alla neutralizzazione del detenuto, all'interruzione di ogni contatto della persona con l'esterno. Si tratta di un disegno che contrasta palesemente con le finalità rieducative previste dalla Costituzione, atteso che la nostra Carta fondamentale non configura la reclusione come un ulteriore incentivo alla desocializzazione del soggetto.
Abbiamo avuto diversi richiami da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha citato l'articolo 3 di questa Convenzione. Sia la Corte costituzionale che la Corte europea hanno più volte a più riprese invitato il legislatore a umanizzare il carcere duro, in modo da renderlo coerente con i principi dell'ordinamento italiano e di quello comunitario. Questo è quello che chiediamo con la nostra mozione alla vostra attenzione.
Dobbiamo dirci con franchezza anche un'altra cosa. A guardare la situazione delle carceri italiane, noi ci troviamo di fronte ad uno Stato che, ripeto, non da oggi, ma da decenni (potremo parlare del sessantennio partitocratrico) si comporta effettivamente da criminale. Non solo, ma è recidivo, proprio perché questi comportamenti si sono ripetuti nel tempo.Credo che dobbiamo attivarci e questa può essere la Camera che vara d'urgenza i provvedimenti necessari, perché non è più sopportabile tutto questo. Dobbiamo impegnarci perché gli articoli 27 e 13 della Costituzione tornino a vivere, così come l'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo che recita: «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o a trattamenti inumani e degradanti» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao, che illustrerà la mozione Vietti ed altri n. 1-00240 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, per quanto poco partecipato in termini assoluti e quantitativi (non certo in termini di qualità, visto che in Aula ci sono sicuramente molti colleghi esperti del settore giustizia), il dibattito di oggi vede il Parlamento impegnato su una materia che esprime il grado di civiltà e di umanità di una nazione, lo abbiamo detto tante volte e lo ribadiamo oggi, è un dato condiviso anche dal Ministro Alfano, oggi rappresentato dal sottosegretario Caliendo. Ci auguriamo che alla fine sulle diverse mozioni presentate dai gruppi parlamentari si possano registrare ampie convergenze, a testimonianza che su questo tema Governo, maggioranza e opposizioni vogliono davvero lavorare senza pregiudizi.
Anche il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio alla nazione del 31 dicembre scorso, ha voluto richiamare il Paese intero alle riforme e ad un'azione decisiva su alcuni punti. In particolare ha voluto espressamente citare anche la condizione che riguarda le carceri: «È necessario - ha detto il Capo dello Stato - essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre, anche perché ci si sente privati di diritti elementari; penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e a rischi, e di certo non ci si rieduca».
Il Presidente Napolitano con sintetiche e chiare parole ha messo a fuoco i due punti cruciali di quella che è stata definita a ragione l'emergenza carceri: il sovraffollamento e la rieducazione. Il carcere non è, in uno Stato di diritto, solo il luogo per mettere i condannati nella condizione di non nuocere alla comunità, ma anche - soprattutto, direi io, in un Paese civile - il luogo della rieducazione della persona. È chiaro a tutti come, nell'attuale situazione in cui versano gli istituti penitenziari italiani, oggi, questo non avvenga, o meglio non possa avvenire. Non certo per colpa del personale della polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi che svolgono un lavoro straordinario, nelle condizioni date, al limite del sacrificio personale.Quest'estate su una meritoria sollecitazione dei colleghi radicali molti di noi hanno preso visione direttamente per la prima volta (io avevo avuto occasione in passato durante la Presidenza Casini di far visita ben cinque volte a istituti penitenziari di Roma e di Milano) della situazione in cui versano molte carceri italiane, aderendo all'iniziativa «ferragosto in carcere», in carcere con chi vi è recluso, con chi vi lavora e con i tanti volontari che vi operano. Personalmente ho visitato l'Istituto del Buon Cammino di Cagliari ed è stata un'esperienza che mi ha trasmesso una corale richiesta soprattutto di dignità, cosa che raramente capita di vivere. Ho toccato, come tanti colleghi, la disperazione dei detenuti che vivono in una situazione di sovraffollamento inumano, con una forte limitazione degli spazi, nonostante le molte e diverse patologie che in diversi casi si trovano ad affrontare.
Vi è inoltre una reale difficoltà per l'incontro con i parenti, per non parlare dei bambini in carcere. Ne ho incontrato uno nell'ultima visita, il cui sguardo dietro le sbarre difficilmente potrò dimenticare. Mi ricordo anche i tanti volti dei bambini del reparto femminile di Rebibbia che solo recentemente hanno avuto, grazie allo sforzo di molte associazioni di volontariato, una nuova ludoteca, una ludoteca dietro le sbarre. Colleghi, una cosa è certa, i bambini sicuramente non hanno nessuna colpa. Occorre seriamente riflettere: nei sedici asili nido funzionanti - lo sa bene il sottosegretario Caliendo - stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella. È una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro, colpevole - lo ripeto - soltanto di essere figlio di una reclusa.
Abbiamo constatato il disagio e le difficoltà del personale di vigilanza e di educazione che distribuisce larghe dosi di umanità e professionalità, ma è anche fortemente stressato dalla carenza di organico, dalla mancanza di fondi derivanti dai tagli lineari del Ministro dell'economia che, anche in questo caso, purtroppo, ha abdicato a quella valutazione tutta politica delle vere emergenze e delle priorità di un Paese. Carenza di risorse che si ripercuote sull'impossibilità del turnover del personale, sull'esigenza di fare economie su ogni cosa, persino, come abbiamo notato, sui cani per i controlli antidroga nelle carceri, nelle celle e anche in occasione dei colloqui.Una situazione forse meno intollerabile, se così si può dire, è quella che ho visto nel carcere di Cagliari, ma che davvero ha lasciato profondi segni nella coscienza di chi sente di essere quasi inadeguato a quella missione che ci hanno assegnato il personale e i detenuti: cambiare, e presto, questo stato di cose.
Il dato macroscopico più eclatante, da affrontare con urgenza, riguarda quel 50 per cento di detenuti in custodia cautelare, ovvero ancora in attesa di sentenza di condanna definitiva. Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza di civiltà. La condizione di reclusi nella quale si trovano tante persone ancora in attesa di giudizio colpisce violentemente chi, da legislatore, si sforza ogni giorno di richiamare l'attenzione dell'Esecutivo e della maggioranza non sulle mille questioni settoriali della riforma del processo, ma sulla celerità del nostro sistema giudiziario.
Se c'è un dato di fondo, infatti, che emerge chiaro anche da queste nostre visite, e sul quale ci siamo confrontati anche molto costruttivamente con i colleghi della maggioranza e dell'opposizione, è che una giustizia lenta, il più delle volte, è una giustizia negata. È ciò che ripete spesso anche il Ministro Alfano, ma per far questo non basta il processo breve che, come è stato scritto, è più che altro un'amnistia mascherata, piuttosto che una vera e propria seria riforma. Servono anche qui più risorse ed una nuova geografia dei tribunali, altrimenti si casserebbero soltanto dalla mattina alla sera centinaia, o forse decine di migliaia di processi: anche questa, colleghi sarebbe una giustizia negata, stavolta, però, per le vittime dei reati.
Non è questa la strada. Chi di noi colleghi ha partecipato all'esperienza di quest'estate porta nelle sue parole le immagini e i volti delle persone detenute che ci chiedono di fare presto e bene buone leggi per risolvere anche gli annosi conflitti fra Ministeri diversi. Pensiamo alla vicenda del personale medico-educativo, degli psicologi penitenziari vincitori di concorso - lo sa bene il sottosegretario - che da anni aspettano di essere assunti e sono «rimpallati» tra il Ministero del welfare e l'amministrazione penitenziaria, per non parlare dello scaricabarile perfino sul pagamento dei farmaci per i detenuti nelle regioni a statuto speciale, soprattutto in Sicilia e in Sardegna tra gli stessi Ministeri.
Chi di noi, invece, non ha partecipato a questa esperienza può prendere coscienza del problema in maniera chiara, senza equivoci, anche solo dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia e che dà conto di come, solo nel corso del 2009, la popolazione carceraria è aumentata di 8 mila unità, passando dai 58 mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66 mila di quest'anno: oltre 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile. Ci siamo interrogati tante volte, anche con i colleghi, su cosa significhi «tollerabile»: ci sembra più un criterio tecnico che umano.
Gli stessi dati poi confermano quanto già detto in precedenza, cioè che quasi il 50 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio, 7 mila in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006. Si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa un'anomalia tutta italiana, su cui è necessario intervenire, perché un innocente che rimane in carcere non solo perde la fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, ma rischia di diventare un vero problema sociale.
Ben 34 dei 204 istituti - al contrario della collega Bernardini, in una simbolica staffetta, noi qualche cifra la diamo in quest'Aula - ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono fuorilegge dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta e il «carcere fuorilegge» è realmente un paradosso, caro sottosegretario.
Era il febbraio 2009, quasi un anno fa, quando il Ministro Alfano annunciava il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento. Questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile.
Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri in un piano, mi consenta, più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno, è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. Nella più ottimistica delle previsioni i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità. Se il Presidente mi consente, lascerò alcune altre cifre agli atti, mentre vorrei soffermarmi su altre due questioni. La prima riguarda il numero degli educatori in quanto parlavamo di rieducazione in carcere.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, ho solo un minuto? Speravo di avere qualcosa in più.
PRESIDENTE. Prego onorevole, si è trattato di un errore materiale.
ROBERTO RAO. Dicevo che il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088 e sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata all'attività di osservazione e al trattamento dei detenuti. Pensiamo a chi è detenuto per la prima volta e, quindi, si trova dietro le sbarre per la prima volta nella sua vita; considerato che a fronte di quasi 66 mila detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, ciascuno in rapporto libero professionale retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese. Ciò comporta come naturale conseguenza che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo e sappiamo che questa non è l'intenzione del Governo.
A questo proposito, il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato fin dal 2004 un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche
ad approvare la relativa graduatoria nel 2006. Nonostante ciò, da quel momento, l'amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti.
Un ultimo aspetto riguarda il fatto che di carcere si può anche morire. Generalmente un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca Ristretti orizzonti del carcere di Padova. Quest'anno è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica: 71 su 171 persone morte in carcere e in questi primi giorni del 2010 nelle carceri italiane si sono registrati già ben quattro suicidi. È un dato allarmante che non può non interrogare nel profondo ciascuno di noi, la nostra coscienza, i legislatori e i governanti. Queste morti chiedono una risposta rapida dello Stato ad una situazione intollerabile.
Quanto denunciato costituisce, a nostro avviso, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32 che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e dell'articolo 27 secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Nell'illustrazione della nostra mozione ritengo, quindi, che sia maturo il tempo nel quale quest'Aula possa affrontare e risolvere il problema dell'emergenza carceri adottando un indirizzo chiaro e preciso che costituisca la base dei futuri provvedimenti amministrativi e normativi in materia. In particolare, a nostro avviso è necessario che il Governo adotti una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere (specie per le donne con figli e per i tossicodipendenti), la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità e, inoltre, a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi di appartenenza, in quanto sappiamo che quelli che ci sono, sono insufficienti e non riguardano spesso i Paesi di origine del gran numero dei detenuti extracomunitari.
Dobbiamo predisporre un nuovo e più efficace piano carceri rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, assicurando le risorse necessarie per realizzarlo e per garantire un'adeguata dotazione di polizia penitenziaria indispensabile per gestire una situazione così drammatica.
Se il carcere deve poi essere, secondo i principi di civiltà e dignità della persona, un luogo di rieducazione, diventa improcrastinabile a nostro avviso l'assunzione di un congruo numero di educatori e psicologi indispensabile per la vita dei reclusi, nonché adoperarsi in sede di Conferenza Stato-regioni affinché sia garantita a costoro, dal servizio sanitario nazionale, la migliore assistenza medica e psicologica. È necessario, inoltre, che lo Stato si faccia carico del problema dei bambini con l'istituzione e costruzione di case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini. Colleghi, queste sono le principali misure che, a nostro avviso, sarebbe ragionevole e utile adottare per rispondere con coerenza al grido, all'appello e alla richiesta di giustizia che proviene dagli istituti carcerari. Il Parlamento deve farsene carico per il rispetto che ha e che deve alla Costituzione e alla sua dignità.
Infine, come la collega Bernardini, voglio fare un riconoscimento alla memoria di Stefano Cucchi morto in circostanze drammatiche ancora tutte da chiarire durante la sua detenzione.
È un riconoscimento al dolore straziante e alla determinazione composta della sua famiglia, che chiede e deve avere giustizia. Sono convinto che il Ministro Alfano e il Ministro Maroni collaboreranno ancora e daranno una risposta chiara e rapida su questa vicenda, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, ancora di più dopo che la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, il cui volto e i cui occhi abbiamo ancora impressi, ha dato un esempio di serietà e di rispetto delle istituzioni a tutti noi.
È un esempio che non va dimenticato, dopo che Ilaria Cucchi ha declinato una legittima richiesta di candidatura da parte dei radicali alle prossime elezioni regionali del Lazio. Quello delle candidature di testimonianza è un modo per non dimenticare, e i radicali ne sono un esempio encomiabile, ma questo Parlamento e, spero, entrambe le candidate alla presidenza della regione Lazio devono prendere un impegno a non dimenticare, anche se non vi saranno gli occhi di Stefano, attraverso quelli di Ilaria, a ricordarcelo dai banchi di un consiglio regionale.
È questo il compito di una classe politica di un Paese civile e, mi consenta, umano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Rao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00301. Ne ha facoltà.
AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è un contributo che parte dal gruppo dell'Italia dei Valori su un tema che ormai sta diventando all'ordine del giorno dell'agenda non solo politica, ma anche sociale della nostra nazione.
Con la nostra mozione intendiamo indurre a riflessioni, per poi prendere le necessarie decisioni, il Governo, a partire dall'intero Parlamento, che mi auguro abbia la giusta ed adeguata sensibilità per far sì che non attraverso posizioni ideologiche, ma attraverso posizioni mirate e sostenute da una serie di dati, che poi fanno la sostanza non solo dell'attività politica, ma delle varie vite spezzate, l'umanità contenuta all'interno delle carceri possa trovare finalmente una giusta risposta in termini non solo parlamentari, ma come espressione forte e autorevole di un Governo all'altezza del proprio ruolo e della propria posizione.
Ricordo che la situazione delle carceri italiane era ed è, purtroppo, in una fase continuamente emergenziale. Vi è un surplus di 23 mila detenuti, circa 66 mila sono le presenze a fronte dei 43 mila possibili; vi è una deficienza organica del Corpo di polizia penitenziaria di circa 5 mila unità. La gran parte delle strutture penitenziarie sono poi fatiscenti, obsolete e non adatte. Ve lo dice chi ha avuto modo di fare un sopralluogo non tanto e non solo sulle questioni e sulle
condizioni logistiche e strutturali, ma si è anche occupato di quelle vite spezzate di cui dicevo poc'anzi.
La popolazione delle carceri continua a crescere, con tutte le relative valenze connesse al pericolo e al trattamento, e gli agenti penitenziari sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi e i medici.Sono in costante aumento gli attacchi al personale, che ormai è demotivato, stanco e mal pagato. Su tutto il territorio nazionale si registrano manifestazioni e proteste, giustificate dalle condizioni di insicurezza in cui sono costretti a lavorare. Mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti del giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei.
Sebbene il Presidente del Consiglio abbia reso noto il famoso «piano carceri», della cui copertura finanziaria oggi, nonostante gli annunci, non vi è certezza, i primi risultati, qualora vi fossero, non arriveranno prima di due anni. Solo pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata; una pena naturalmente simbolica, ma che mette in evidenza una terribile realtà.
Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di 3 metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò vuol dire che normalmente una cella deve ospitare 3 detenuti: oggi, nei penitenziari italiani, ve ne sono in media 9 in ogni cella. Dall'inizio dell'anno, si ricordava, sono oltre 70 i suicidi verificatisi all'interno delle strutture e 3 riguardano gli agenti di polizia penitenziaria.
Bisogna dare luce ad una realtà penitenziaria taciuta, ignorata o dimenticata, emarginata e abbandonata, per mettere in evidenza le emergenze del sistema carcere con il rischio sommosse e il rischio morte presenti ogni giorno; un sistema che alimenta gli effetti criminogeni delle pene. Un sistema in cui l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva e che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato e l'articolo 64 della Costituzione europea, che stabilisce che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti, non trovano applicazione.
L'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei cittadini dell'Unione. Nel marzo 2007 l'Unione europea ha istituito l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha il compito di aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad elaborare la normativa in questo campo e di sensibilizzare l'opinione pubblica ai diritti fondamentali. Del resto, in un mondo globalizzato è fondamentale che i Paesi dell'Unione europea collaborino efficacemente per combattere la criminalità e il terrorismo.
Dal giugno 2004 l'Unione europea ha adottato un Trattato che, attraverso le tappe previste, ambisce a diventare una Costituzione per l'intero continente. La creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia richiede necessariamente un coordinamento dei sistemi giuridico-penali dei Paesi membri. Uno spazio sovranazionale dev'essere altresì anche capace di farsi garante del riconoscimento e del rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, europei ed extracomunitari che vivono e risiedono in Europa. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale, ancorato al principio della territorialità: uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto l'esclusività del sistema penale. D'altro canto, a partire dal 1948 sia il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è stato progressivamente eroso da una nuova concezione del diritto internazionale, che sostituisce all'intergovernativismo la sovranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte penale internazionale. Il suo Statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all'interno embrioni del superamento del principio della nazionalità del sistema processuale penale, laddove vi siano gravi violazioni dei diritti umani, crimini di guerra, genocidi, crimini contro l'umanità. Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali, vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, e vanno identificati minimi e massimi edittali delle pene, vanno enucleati comuni ed essenziali interessi da proteggere in Europa con gli strumenti del diritto penale, evitando che i singoli Stati si limitino ad adattarsi al diritto penale di derivazione europea, conservando allo stesso tempo intatto tutto il proprio armamentario repressivo, e ciò, capite, è una gravissima contraddizione in termini.
I diritti delle persone sottoposte a procedimento giudiziario, a misure penali o detenute vanno tutelati senza eccezioni e senza timori. La dignità umana non può essere calpestata in alcuna circostanza. L'esperienza europea degli ultimi anni ci suggerisce l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione. Tali organismi svolgono una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti. Si tratterebbe di una sorta di difensori istituzionali dei diritti in carcere, per i quali va data altresì piena attuazione sia alla sentenza della Corte costituzionale del febbraio 1999, che prevede la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, sia al nuovo regolamento di esecuzione che nelle sue forme vuole migliorare la qualità della vita nelle carceri.
Lotta al razzismo, libera circolazione delle coppie senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e difesa delle donne, dei minori e degli immigrati: è quanto chiede il Parlamento per lo spazio europeo di giustizia, auspicando più diritti per i detenuti e fondi comunitari per la costruzione di nuove carceri. Occorre combattere la criminalità informatica, garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi dell'Unione europea per l'accoglienza dei rifugiati e tutelare i cittadini da terrorismo e criminalità. Il Parlamento europeo in tal senso qualche giorno fa ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto «Programma di Stoccolma», che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni.
Il Parlamento chiede norme minime relative alla condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate. Auspica, inoltre, la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusino un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinserimento sociale. Sollecita anche la conclusione di accordi tra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei loro cittadini che abbiano subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. Sostiene poi la necessità di uno strumento giuridico globale sull'ammissibilità della prova nei procedimenti penali.
L'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce le misure alternative alla detenzione. Esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere; vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi. Le misure alternative sono numerose, con caratteristiche peculiari, ciascuna tendente comunque alla risocializzazione del condannato. Esse sono: l'affidamento in prova al servizio sociale (pena residua di tre anni); la detenzione domiciliare (pena residua di quattro anni o, nei casi di condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo, pena residua anche superiore ai quattro anni); la semilibertà (metà pena o i due terzi se si tratta di reati gravi o sei mesi solo dalla libertà); la liberazione condizionale; la sospensione della pena per gravi motivi di salute (qualunque sia la durata della pena). Queste misure, però, non possono essere la soluzione concreta e definitiva dell'emergenza carceri e al sovraffollamento.
Al di là di ciò, aspettando il piano carceri, è necessario avviare una riflessione e pensare ai processi brevi e alla certezza della pena dando strumenti e risorse. In sostanza il carcere-servizio pubblico deve essere un luogo che produce sicurezza collettiva nel rispetto della dignità dei detenuti. Lo scorso mese di agosto si è svolta l'iniziativa nazionale «Ferragosto in carcere» che ha visto coinvolti deputati, senatori e consiglieri regionali di tutta Italia e di tutte le forze politiche. L'obiettivo di tale iniziativa era quello di verificare e di conoscere meglio le condizioni tanto dei detenuti quanto di direttori, agenti, medici, psicologi ed educatori che lavorano all'interno delle carceri, al fine di poter formulare proposte legislative o organizzative adeguate. Tra suicidi, morti, vite salvate, tentate evasioni, evasioni compiute e spazi che mancano nelle nostre prigioni è sempre più evidente l'emergenza-soluzioni. A fronte di questa spaventosa e preoccupante situazione tutto il personale penitenziario tra l'altro è chiamato ad operare senza alcuna linea guida e senza mezzi idonei con scarsissime risorse.
Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 30 del 16 aprile 2004 veniva bandito un concorso pubblico per 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008, nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23 veniva pubblicata la graduatoria ufficiale e definitiva del suddetto concorso. Ad oggi il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assunto solo i primi novantasette vincitori cui si spera, a breve, seguirà l'assunzione dei restanti trecento, dopo aver proceduto alle istanze di interpello annuale nazionale di mobilità interna del personale. Queste nuove forze potranno sicuramente rappresentare un valido supporto ma si rivelano palesemente e gravemente insufficienti. Intanto, per questa figura professionale, sono già state già apportate drastiche riduzioni tali da portare la pianta organica del 2009 a sole 1.088 unità rispetto alla pianta del 2008 che ne prevedeva circa 1.400 in organico, riduzione operata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adeguarsi alle disposizioni del cosiddetto «decreto Brunetta» che ha imposto un ridimensionamento delle piante organiche in diminuzione delle unità, affinché le pubbliche amministrazioni possano procedere all'assunzione di nuovo personale. In realtà, ad oggi, in servizio, ci sono soltanto 686 educatori cui si aggiungeranno i 300 restanti vincitori giungendo ad una quota pari a 968 unità a fronte di una popolazione detenuta di circa 66 mila unità ancora in crescita, come si è detto prima. È lampante, pertanto, la mancanza di ben 102 educatori rispetto alla pianta organica del 2009 (mancanza ancora maggiore se riferita alla pianta organica del 2008, pari a circa 400 unità di educatori), cui andranno ad aggiungersi tutti quegli educatori che verranno collocati in pensione avendone maturati i requisiti.
La sostanziosa assenza dei citati operatori aggrava ed aggraverà ancor di più il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori ancora in servizio oltre ad accrescere l'inadempienza al dettato legislativo vigente, dal momento che la maggior parte dei detenuti non riescono ad avere per anni colloqui con gli educatori, non riuscendo pertanto a conseguire alcun giovamento dall'ingresso in carcere.
Quest'ultima disposizione viene chiaramente disattesa nelle realtà carcerarie italiane, come è noto dal caso Castrogno (chi vi parla ne è ben cosciente, essendo un parlamentare abruzzese e teramano che quindi conosce bene la realtà di Castrogno), uno dei tanti emersi negli ultimi tempi, ma anche dall'aumento dei suicidi, degli atteggiamenti autolesionistici, della richiesta di psicofarmaci e, non ultimo, dell'aggressività dei detenuti nei confronti del personale penitenziario, ad ulteriore dimostrazione dell'emergenza in cui i circuiti detentivi versano a causa della mancanza di operatori a fronte di uno spropositato aumento del numero dei detenuti ospitati in strutture inidonee ed evidentemente non a norma dal punto di vista strutturale e delle risorse umane.
Bisogna inoltre anche specificare che, nonostante l'assunzione dei 300 vincitori del concorso per il profilo di educatore, il DAP avrà un avanzo di fondi a disposizione per assumere subito circa 70 unità lavorative grazie al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 31 luglio scorso, che ha deliberato l'autorizzazione all'assunzione di un contingente di 1.370 unità di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 per le amministrazioni dello Stato.
In particolare per il Ministero della giustizia le nuove assunzioni autorizzate sono 223, di cui 110 per l'amministrazione penitenziaria, che dovrebbero essere ripartite tra vincitori ed idonei di tutti i concorsi aventi graduatorie ancora valide presso quest'ultima amministrazione.
Stando tuttavia alle allarmanti condizioni delle carceri italiane, buona parte di questi fondi che avanzeranno dovranno essere destinati primariamente e celermente, senza indugio alcuno, all'assunzione degli idonei al concorso per educatori per incamminarsi verso quella condizione di rieducazione che il carcere deve dare a chi ne entra a far parte, per non smarrire quella presa di coscienza e civiltà che la nostra Carta costituzionale gli affida.
È necessario pertanto attivare dei seri e proficui percorsi di rieducazione dei detenuti la cui realizzazione sia promossa e attivata dagli educatori penitenziari, veri coordinatori e catalizzatori degli strumenti utili per la composizione di tale iter risocializzativo (come la norma del 1975 dispone), affinché la dimensione del vissuto carcerario sia foriera di profonda autoriflessione sulle proprie apicalità e crei momenti di autoprogettazione, di formazione e costruzione di un sé nuovo, positivo, propositivo, generatore di valori riconosciuti e condivisi dal comune senso civico. Occorrono soluzioni ed un modello di recupero e di rieducazione prima di pensare a nuove strutture, al fine di un immediato e concreto supporto al mondo penitenziario.
Con questa mozione l'Italia dei Valori intende appunto, sulla scorta di queste riflessioni, di queste indicazioni e dello stato dell'arte, impegnare il Governo: a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario, al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori; a procedere all'assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il DAP deve attivare per questi operatori prima dell'ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito; a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso sopracitato stando agli odierni orientamenti dettati dal Ministro Brunetta e dalla proposta di legge n. 2462 presentata il 21 maggio del 2009, nonché alle disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore per permetterne un graduale scorrimento parimenti all'avvicendarsi dei fisiologici turnover pensionistici, al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici.
In effetti, questa medesima procedura di scorrimento della graduatoria con l'assunzione di tutti i suoi idonei trova già un precedente nel panorama legislativo e procedurale italiano,poiché effettuata per le graduatorie dei concorsi banditi dall'Agenzia delle entrate per 1.500 posti di funzionari per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, attivata dall'amministrazione tributaria, bandita dall'Agenzia delle entrate e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie speciale del 21 ottobre 2005.
Impegniamo il Governo, altresì, a stabilire una norma che prevede lo stanziamento dei fondi necessari per completare l'organico degli educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il DAP (lo sforzo economico che si richiede al Governo è annualmente molto esiguo, ma è necessario per far funzionare meglio, e in modo più mano, una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere); a procedere all'alienazione di immobili ad uso penitenziario nei centri storici e alle costruzioni di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito; a procedere alla dismissione di immobili ad uso penitenziario e alla riassegnazione del ricavato al Ministero della giustizia, per il potenziamento dell'edilizia penitenziaria esistente; al rifinanziamento dell'articolo 6 della legge n. 259 del 2002, in sede di predisposizione della legge finanziaria per il 2010, prevedendo dei limiti di impegno per un arco di tempo compatibile con l'utilizzo della locazione finanziaria; all'attivazione, in relazione alla esperienza europee degli ultimi anni, di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e di controllo dei luoghi di detenzione al fine di svolgere una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti; ad autorizzare, secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo, le risorse finanziarie per la costruzione di nuove strutture detentive, prevista negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinserimento sociale; ad istituire, nel più breve tempo possibile, dato l'allarme di questa situazione, la Commissione di inchiesta parlamentare sulla situazione delle carceri in Italia come richiesto dall'Italia dei Valori nella propria proposta del 24 novembre del 2009; in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e a definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse.
In tutto questo, credo che dobbiamo trovare una sintesi importante, affinché la calendarizzazione della discussione in Assemblea delle nostre mozioni costituisca un banco di prova su cui testare la concreta volontà del Governo, e dei parlamentari tutti, per tentare di risolvere il dramma che quotidianamente si consuma dentro le prigioni italiane.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, è necessario che il Parlamento e soprattutto il Governo e la maggioranza definiscano un vero e proprio «piano Marshall» per le carceri. Solo attraverso ingenti finanziamenti in termini di risorse, mezzi e tecnologie, attraverso una vera riforma alla giustizia, sarà possibile porre rimedio a ciò che oggi appare irrimediabilmente compromesso.
Questo è il nostro contributo e mi auguro che possa il Parlamento trovare una sintesi unitaria, perché bisogna dare una risposta non solo in termini politici, ma anche istituzionali, ad un dramma che è soprattutto umano, e che deve vedere la politica in grado di reggere l'urto di questa grande sfida, che è una sfida sì di umanità, ma anche di grande innovazione e modernizzazione anche, e soprattutto, delle coscienze (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti, che illustrerà la mozione n. 1-00302, di cui è cofirmataria.
DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, le preannunzio che, qualora non riuscissi ad illustrare interamente la mozione, chiederò che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
Questa nostra mozione parte da un dato, quello del sovraffollamento delle carceri, ma non come situazione di emergenza ed eccezionalità, a cui bisogna porre rimedio con provvedimenti eccezionali ed estemporanei, ma come situazione strutturale che nasce più che dalla crescita della criminalità, dalla sistematica crescita della criminalizzazione e dalla conseguente risposta di contrasto alla criminalità cosiddetta di strada. Vi è la sensazione che si cerchi di colpire con il carcere ciò che non si riesce a tenere sotto controllo in altro modo. Ne è un esempio tangibile la politica sull'immigrazione: il recente reato di nuovo conio, quello di immigrazione clandestina, e la progressiva accentuazione di una normativa sostanziale e processuale costruita sul cosiddetto doppio binario. Nel luglio 2006 si giunse ad avere nelle strutture carcerarie 62 mila detenuti, la risposta fu l'indulto che consentì di ridurre le presenze del periodo minimo a circa 38 mila detenuti Oggi la condizione di sovraffollamento nella quale si è precipitati di nuovo (65 mila detenuti, 31 mila circa in attesa di giudizio) è segnata da una crescita che ha superata le mille unità al mese e corrisponde in misura preponderante alla crescita della presenza di stranieri nelle carceri, unitamente ai tossicodipendenti, ai malati psichiatrici e a tutte le altre forme di devianza sociale che colpiscono gli strati più bassi della popolazione. Tutto ciò alimenta la popolazione carceraria e apparentemente soddisfa quell'ansia di sicurezza che, a torto o a ragione, pervade la società civile. In media, possiamo dire che gli stranieri costituiscono il 38 per cento della popolazione carceraria e provengono da 140 Paesi diversi, ma, a tal proposito, pochissimi sono i Paesi con cui l'Italia ha una convenzione bilaterale (due o tre al massimo). Comunque, le dichiarazioni rese in proposito dal Ministro competente in un'intervista dell'8 settembre 2008, secondo la quale si sarebbe provveduto ad espellere 3.300 detenuti immigrati, non solo si sono risolte in un nulla di fatto - anche per l'impossibilità e per l'onerosità del provvedimento in sé - ma non hanno fornito una risposta in grado di risolvere in maniera incisiva il problema del sovraffollamento. Per tutti - mi riferisco a stranieri, tossicodipendenti, soggetti con problematiche psichiatriche e sociali - la crescita dell'intervento penale (e quindi del carcere) è strettamente proporzionale, purtroppo, alla diminuzione delle risorse dedicate ai servizi e agli interventi sociosanitari. Ne è una conferma anche l'assoluta carenza del personale civile penitenziario destinato all'attività di trattamento (parlo di educatori, sociologi, di psicologi e di assistenti sociali). I ruoli organici, già di per sé carenti, presentano situazioni di scoperture patologiche. Gli educatori in pianta sono 1.376, in servizio sono 792: un educatore ogni 82 detenuti. Tutto ciò si riverbera non solo nel sovraccarico di compiti per i singoli ma proprio nel non funzionamento di quel circuito e di quei sistemi che hanno come premessa necessaria proprio l'intervento di quegli operatori. Quindi finisce per prevalere l'area della custodia rispetto a quella della rieducazione individuale, e rare sono le occasioni di lavoro, limitata l'attività scolastica e di formazione professionale, scarse le possibilità di praticare attività diverse a fini risocializzanti. Bisogna evidenziare a questo proposito - ne sento proprio il debito morale - il fatto che il Governo deve essere messo in mora nei confronti dei 397 educatori vincitori del concorso bandito nel 2003, di cui sono stati assunti solo 86 (ne mancano 300 perché 11 hanno rinunciato). Mi chiedo: la mancata assunzione è solo riconducibile alla penuria di fondi? Quando si bandisce un concorso si prevedono di norma anche i soldi per le assunzioni. Come mai questi ritardi? Perché forse non si crede a sufficienza, fino in fondo, da parte del Governo, alla finalità rieducativa della pena prevista dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione? Il fine ultimo e risolutivo della pena deve essere proprio quello del recupero sociale del condannato e un obbligo tassativo che si impone al legislatore ordinario è quello di prevedere i mezzi e gli strumenti per rendere effettiva tale finalità. Il che vuol dire costituzionalizzazione delle misure alternative alla detenzione in fase esecutiva e del sistema organizzativo per il funzionamento delle stesse. La pena non è un qualcosa di rigido, ma, sempre nel quadro della durata della pena detentiva certa, le modalità esecutive possono cambiare in ragione della concessione di misure alternative. Ma per far ciò, la premessa necessaria è che vi sia l'effettiva valutazione da parte di una rete di operatori numericamente e professionalmente attrezzati. Altrimenti, se le scelte politiche economiche vanno in un altro senso, allora è solo demagogia prendersela con la legge, con la legge Gozzini che non funziona o con la magistratura di sorveglianza accusata spesso di essere di manica larga. Il percorso in realtà non si improvvisa, non è automatico; occorre un'equipe interna al carcere che, durante la permanenza del detenuto, ne osservi l'atteggiamento rispetto al reato, l'effettiva volontà di riscatto e, alla fine, con una relazione di sintesi, riferisca al magistrato per il percorso più opportuno. Senza poi parlare del problema, che è cronico ormai, della carenza del personale della polizia penitenziaria, che è al di sotto dell'organico di tantissime unità, così come ha denunciato e dichiarato anche il capo del DAP nelle sue due audizioni in Commissione Giustizia. È del tutto evidente che la reale possibilità per i detenuti di riconquistare la libertà, non solo come capacità di movimento ma anche come capacità di autodeterminazione responsabile nel rispetto dei valori della convivenza civile, dipende ed è strettamente legata ad un carcere che funzioni.
Per questo chiediamo al Governo con questa mozione che si impegni a farlo funzionare e chiediamo che siano favorite le proposte volte all'utilizzo dei fondi quali, ad esempio, quelli cospicui della cassa delle ammende pari a circa 159 milioni di euro per incrementare i programmi di esecuzione esterna e rivitalizzare le misure alternative alla detenzione, se è vero che, come risulta da ricerche del DAP, dopo anni dalla conclusione dell'esecuzione della misura alternativa, la recidiva si verifica nel 19 per cento dei casi, mentre, nello stesso tempo di commisurazione, dopo l'esecuzione in carcere, la recidiva è del 68,5 per cento. Quei fondi, ad esempio potrebbero essere utilizzati in parte proprio per l'assunzione di quegli educatori, quei 300 educatori che mancano all'appello e che sono vincitori di concorso. Purtroppo, siamo stati condannati recentemente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha sancito l'illegalità di una detenzione in condizione di intollerabile sovraffollamento in quanto in palese violazione dell'articolo 3 della Convenzione sul divieto di torture e trattamenti disumani e degradanti. Di qui, la proposta di costruire nuovi carceri. Tuttavia, occorre porre mano con priorità al rifacimento di quelle esistenti spesso fatiscenti. Non può essere una soluzione soltanto quella di porre mano ad interventi normativi con aumento della criminalizzazione e, quindi, con divieto anche per i recidivi di accedere ai benefici che ha aumentato in modo esponenziale la crescita della popolazione carceraria. In questo contesto devono essere favorite le proposte di legge tese alla sostituzione di pene detentive brevi, già al momento della condanna, ovvero ad incentivare condotte riparatorie, subordinando effettivamente la concessione del beneficio della sospensione condizionale, anche per più volte, al risarcimento del danno a favore della vittima.
Il carcere deve essere l'extrema ratio, soprattutto per i minorenni e i giovani adulti fino a 25 anni, nella riaffermazione del principio della flessibilità dell'esecuzione penale secondo cui la pena non è rigida ma sempre nel quadro della durata della pena detentiva certa, le modalità esecutive della stessa mutano in ragione del mutare del percorso, come è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale.
Si impone, quindi, un ripensamento, a breve e a lungo termine, del modello unico di istituto penitenziario attuale, partendo da due considerazioni: la preponderanza nel panorama detentivo di soggetti sottoposti a custodia cautelare per periodi brevissimi (30 mila soggetti in media all'anno trascorrono in un istituto penitenziario periodi non superiori agli undici giorni e poi vengono scarcerati) e inoltre il fatto che i detenuti per i quali si esige un regime di elevata sicurezza non raggiungono le 10 mila unità sui 65 mila che oggi popolano le carceri; mentre per gli altri detenuti, quelli anche di media sicurezza, la detenzione in cella come situazione di normale permanenza quotidiana, anziché la fruizione di spazi comuni, diventa una delle cause del sovraffollamento e anche dell'aggravio dei costi e quindi dell'insufficienza del personale.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ferranti.
DONATELLA FERRANTI. Guardiamo all'Europa e a quanto accade in Spagna dove il classico fortino è riservato ad esponenti della criminalità organizzata o ad autori di efferati crimini con il connesso obbligo di permanenza in carcere, per gli altri vi sono moduli di diversa organizzazione. Quindi, in un sistema carcerario che ha come fine ultimo la riabilitazione e la reintegrazione sociale del detenuto il lavoro dentro e fuori dal carcere rappresenta, insieme all'istruzione e alla formazione professionale, uno strumento privilegiato di prevenzione della nuova criminalità, una forma essenziale, una possibilità concreta di recupero della dignità morale ed umana della persona detenuta.
Con questa mozione, chiediamo un impegno del Governo su questi temi che segni un passo avanti concreto rispetto ad una condivisione di temi che riguardano veramente una delle problematiche della giustizia. Infatti, siamo convinti sino in fondo che la legittimazione dello Stato a punire non può e non deve mai prescindere dalla condizione concreta di esecuzione della pena perché il buon funzionamento del sistema carcerario ed il corretto trattamento dei detenuti sono importanti indicatori del grado di civiltà e di democrazia di un Paese. In particolare, occorre assicurare ai detenuti quella dignità, quel senso di umanità cui la repressione penale, che sia certa e rigorosa ma ispirata poi sempre al recupero, deve in qualche modo sempre guardare.
Quindi, noi confidiamo che vi sia in questo senso uno sguardo attento e vero da parte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, come preannunziato all'inizio chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Vitali, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00309.
LUIGI VITALI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, mi verrebbe da dire subito: «Tanto tuonò che piovve», dando merito ai colleghi radicali di avere, con la loro positiva pervicacia e con loro insistenza, frutto di una sensibilità particolare su questo problema, costretto questa Camera, lo dico tra virgolette, a discutere di una problematica credo importantissima (parafrasando le parole del Presidente del Consiglio è il problema più grave dopo il terremoto d'Abruzzo nel nostro Paese).
Questo avrà il merito - e l'inizio di questa discussione lo dimostra - di far sì che tutte le forze politiche rappresentate in questo Parlamento si assumano delle responsabilità e dicano, come stanno dicendo, in maniera chiara come intendono risolvere il problema e cosa intendono suggerire al Governo per risolvere il problema. Dico subito che condivido - parlo a titolo chiaramente personale perché è il Governo che dovrà valutare l'accoglibilità o meno delle mozioni in esame - tutte le mozioni fin qui presentate, se non totalmente in larghissima parte, soprattutto quella dei colleghi radicali, ma anche quella del Partito Democratico, persino anche quella dell'Italia dei Valori, oltre a quella dei colleghi dell'Unione di Centro.
Abbiamo il dovere di dire in maniera chiara come si intenderà affrontare questa che è diventata un'emergenza non più rinviabile, non soltanto per coloro che, all'interno degli istituti penitenziari, devono scontare una pena per una violazione di legge, ma in condizioni di umanità, in condizioni igienico-sanitarie adeguate, in condizioni di civiltà, ma anche e soprattutto per migliaia di servitori dello Stato che prestano la loro attività all'interno degli istituti penitenziari.
Dunque abbiamo necessità di fotografare alcuni dati dai quali partire per poter fare una diagnosi ed immaginare una terapia per risolvere questo problema. Oggi noi abbiamo 65.000 detenuti, con una percentuale di 700-800 detenuti al mese che si aggiungono all'interno dei nostri penitenziari. Se scomponiamo questa cifra vediamo che un terzo (il 37 per cento) è rappresentato da stranieri, per lo più extracomunitari; un quarto (circa il 27 per cento) da tossicodipendenti. Stranieri e tossicodipendenti raggiungono il 64 per cento della popolazione penitenziaria. Già questo dato dimostra come, risolvendo queste problematiche, noi non incorreremmo in una situazione di emergenza e gli stranieri sono in carcere perché, nella stragrande maggioranza dei casi, non possono ottenere, perché privi di una dimora e di una residenza, una misura alternativa alla detenzione. Quindi questo è già un primo problema.
Oggi non ha più senso che i tossicodipendenti restino all'interno di strutture penitenziarie, perché creeremmo una manovalanza per la criminalità. Vi è necessità di creare strutture alternative, strutture meno afflittive, che interpretino le problematiche psichiche e fisiche di questi soggetti, che diventano criminali per necessità, ma che nascono come malati, come persone che si drogano. Un altro dato impressionante che ci deve far riflettere e che è emerso da questa discussione è che all'interno delle nostre carceri soltanto il 46 per cento sconta una pena definitiva ed il 50 per cento è in attesa di giudizio. Oggi nel nostro Paese è più facile scontare una misura in custodia cautelare preventiva che una pena emessa in maniera definitiva: anche questo è un elemento che dobbiamo assolutamente affrontare.
Inoltre, vi sono indicibili situazioni sanitarie e, con il trasferimento di questa competenza alle regioni, si sarebbe dovuto innalzare il livello di assistenza e, invece, non solo è stato ridotto ma, in molti casi, è stato addirittura eliminato. Questo non è assolutamente possibile.
Tuttavia, questa situazione non è di oggi, ma permane da 60 anni nel nostro Paese. Solo che fino a 15 anni fa il problema si risolveva con un'amnistia o con un indulto che venivano concessi con cadenza quasi biennale. Non possiamo né vogliamo - e questa è la parte che ci differenzia e mi differenzia dalla mozione dei colleghi radicali - risolvere un problema così grave, delegando la funzione deflattiva delle carceri ad un provvedimento di clemenza. Abbiamo bisogno di garantire certezza della pena e sicurezza ai cittadini e, allo stesso tempo, abbiamo il dovere di rendere le nostre prigioni assolutamente conformi ai livelli di civiltà e di democrazia ai quale appartiene e si ispira il nostro Paese.
Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che non tutti i Governi - i quali hanno tutti delle responsabilità - si sono comportati nella stessa maniera di fronte a questi problemi. Voglio ricordare che il secondo Governo Berlusconi - per intenderci il Ministro Castelli - reperì mille miliardi di vecchie lire da destinare all'edilizia penitenziaria. Faccio presente che questo Governo Berlusconi, in particolare il Ministro Alfano, nonostante abbia irrigidito il regime del 41-bis (altro punto su cui il mio modo di vedere non converge con quello dei colleghi radicali) è stato, tuttavia, il primo Ministro a coinvolgere sul problema dell'affollamento dei nostri penitenziari la Comunità europea. Infatti, se è vero come è vero che nelle nostre carceri vi è il 37 per cento di extracomunitari, ciò significa che si tratta non solo di un problema dell'Italia ma di un problema che l'Italia sopporta in nome e per conto della Comunità europea. Inoltre, ha ottenuto l'impegno da parte della Comunità europea di prevedere fondi e finanziamenti per l'edilizia penitenziaria in quei Paesi - Italia compresa - dove si verificano questi fenomeni. Ma ha fatto di più, perché ha reperito 500 milioni di euro all'interno della legge finanziaria da destinare al piano carceri e ha previsto ed ottenuto, all'interno della legge finanziaria, l'assunzione straordinaria di 2 mila agenti di polizia penitenziaria, dando così un segnale di grande sensibilità. Lo stesso non si può dire per i Governi precedenti e soprattutto per l'ultimo Governo Prodi, che ha avuto un altro vantaggio, quello di godere dei benefici di un indulto votato anche dall'allora opposizione. Quel provvedimento venne votato anche dal sottoscritto che non si è poi pentito di quel voto, sebbene vi siano stati molti pentiti. Non mi sono pentito, ho votato quel provvedimento con convincimento e lo voterei di nuovo. Tuttavia, il Governo Prodi ha perso una grande possibilità poiché ha avuto l'opportunità di avere una deflazione delle carceri di 25 mila unità. Ciononostante, non ha adottato un solo provvedimento che potesse attrezzare il nostro sistema penitenziario ad un ritorno di quella popolazione penitenziaria.
Dunque, dobbiamo capire quali sono le ragioni di questo tipo di affollamento all'interno dei nostri penitenziari per individuare il modo di evitarlo. Innanzitutto, dobbiamo fermarci nella corsa ad un sistema panpenalistico. Infatti da molti anni - e mi riferisco al legislatore - abbiamo reso tutto penalmente rilevante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), forse per metterci a posto la coscienza e per andare incontro alla pancia degli elettori.
Invece, abbiamo bisogno di depenalizzare, perché oggi le carceri devono essere quello strumento di detenzione per quelle persone che non possono essere diversamente rieducate e riportate all'interno di un contesto sociale. La presenza degli extracomunitari è un fenomeno che ormai nel nostro Paese non ha origini antichissime, perché questo fenomeno si è verificato dal 1994 in poi. Inoltre, vi è una massiccia presenza di tossicodipendenti e anche questo è un problema che dobbiamo affrontare non solo, colleghi della rappresentanza radicale, modificando il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti.
Una restrizione dei benefici della legge Gozzini. Nella filosofia dei Governi di centrodestra - che io stesso ho condiviso - c'era il principio di consentire l'accesso alle misure alternative previste dalla legge Gozzini non a tutti sempre e indiscriminatamente, ma soltanto a quelle tipologie di cittadini che violavano la legge che consentissero di immaginare un recupero.
Per molto tempo nel nostro Paese si sono dati benefici a tutti e sempre in qualunque circostanza e, quindi, si è creato un sistema di restrizione, un sistema quasi di meritocrazia all'interno di questo ambito. Tuttavia, allo stesso tempo, non siamo stati capaci di attrezzarci per sostenere l'impatto della popolazione di detenuti che sarebbe emersa da questo tipo di politica.
Vi sono da considerare, inoltre, le lungaggini processuali. L'affollamento delle nostre carceri non è solo un problema di espiazione della pena, ma un problema complessivo e processuale, collegato alla lungaggine dei processi nel nostro Paese. È vero: la Corte europea dei diritti dell'uomo ci ha sanzionato per il caso di quel detenuto extracomunitario perché non disponeva dei tre metri quadrati ritenuti convenzionalmente il minimo da assegnare ad ogni recluso.
Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell'uomo ci condanna reiteratamente per la lungaggine dei nostri processi, quindi abbiamo il dovere di porre un rimedio a quella condanna che attira la nostra attenzione sulle condizioni di espiazione della pena dei nostri detenuti, ma anche il dovere di affrontare in maniera organica e sistematica il problema.
Ho sentito tanti buoni propositi quest'oggi e mi auguro che, quando si comincerà a parlare di proposte concrete, questi propositi non rimangano soltanto all'interno di un dibattito parlamentare, ma possano diventare anche un fatto concreto di collaborazione.
Nella nostra mozione affermiamo che è assolutamente necessario l'intervento di 2 mila agenti della polizia penitenziaria, che non soddisfano neanche la carenza che si ha oggi. Vi sono, infatti, 6 mila appartenenti alla polizia penitenziaria in meno rispetto ad una pianta organica bilanciata ad una presenza penitenziaria di 45 mila unità. Vi sono 65 mila detenuti e ci sono 6 mila poliziotti in meno rispetto ad una detenzione di 45 mila.
Oltre alle 2 mila unità previste nella legge finanziaria, chiediamo che il Governo si impegni ad assumere tempestivamente ulteriori poliziotti penitenziari. Il carcere non è fatto soltanto di polizia penitenziaria, ma anche di educatori e di assistenti sociali ed abbiamo bisogno di prevedere l'assunzione - chiediamo che il Governo lo faccia - di educatori, oltre che di personale amministrativo: vi sono 3.186 unità in meno di personale amministrativo e non è possibile rispondere con un organico di 700 educatori ad una popolazione di 65 mila detenuti.
Quindi anche su questo ci aspettiamo che il Governo assuma impegni concreti e soprattutto che adegui quel fondo di 500 milioni di euro stanziato nell'ultima legge finanziaria e che lo rimpingui per consentire un programma adeguato di edilizia penitenziaria nel quale si prevedano istituti differenziati. I tossicodipendenti non possono e non devono stare in un istituto penitenziario normale.
Gli extracomunitari non hanno bisogno, il più delle volte, di quei controlli e di quella disciplina che è necessaria all'interno di un istituto penitenziario. Si devono creare dei centri di accoglienza per l'extracomunitario se non è possibile che vada a scontare la pena all'estero, e anche su questo il Ministro Alfano si è impegnato e si sta impegnando moltissimo per sottoscrivere accordi bilaterali che consentano l'espiazione della pena nei Paesi di origine.
Infatti, vi è un vincolo costituzionale per cui è il cittadino che decide dove vuole espiare la pena e se in Italia ci sono, nonostante l'affollamento, condizioni migliori rispetto a quelle che si hanno nei propri Paesi, evidentemente non possiamo sottrarci alla necessità di far scontare la pena nel nostro Paese. Dobbiamo creare delle strutture alternative dove anche gli extracomunitari possano avere la possibilità di accedere a strumenti alternativi di detenzione come i tossicodipendenti.
Da un'indagine fatta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è venuto fuori che il 20 per cento dei detenuti soffre di patologie psichiatriche. Anche questo è un elemento da prendere in considerazione. Chi soffre di depressione, chi soffre di psicosi, chi soffre di problemi neurologici, ha bisogno di strutture più leggere e specialistiche dove possa alleviare queste patologie e non essere invece inserito in contesti di detenzione normale.
Inoltre, vogliamo anche porre mano ad una riforma organica della giustizia a partire - come ho sentito dire - dalle forme alternative di detenzione.
Voglio ricordare che il Ministro Alfano qualche mese fa era sul punto di presentare un disegno di legge che introduceva l'istituto della messa alla prova, così come è previsto nell'ordinamento minorile, e ci fu una grande levata di scudi, per la verità anche all'interno della mia maggioranza, che costrinse il Ministro a ritirare quel disegno di legge.
Oggi, leggendo le mozioni di tutti i gruppi parlamentari, viene riproposta questa misura. Personalmente ho presentato una proposta di legge in questo senso e auspico che il Ministro riprenda nuovamente questo percorso.
Se c'è un istituto che ha ben funzionato e ben funziona all'interno del sistema minorile, non ho capito per quale motivo non possa essere introdotto - visto che stiamo parlando di forme alternative di detenzione - nel nostro sistema. Anche questo servirebbe a deflazionare le nostre carceri, come sarebbe anche importante stabilire una differenziazione nell'espiazione della pena per quei reati che non incutono un particolare allarme e non prevedono una particolare pericolosità sociale.
Quindi, queste sono le cose che domandiamo al Governo sul quale chiediamo un impegno, oltre a favorire tutte le forme possibili di incentivazione al lavoro all'interno degli istituti penitenziari, oltre a prevedere tutte le forme di innalzamento dei livelli assistenziali e sanitari all'interno dei nostri istituti, oltre a prevedere la possibilità di non assistere più a quello scempio di vedere oggi nel nostro Paese 71 bambini all'interno delle nostre carceri. Ci possono essere delle strutture diverse, delle comunità, delle case famiglia all'interno delle quali le donne con figli fino a tre anni possano scontare, in un sistema e in una maniera più civile e più degna, la pena per quello che hanno commesso.
Queste sono le cose che noi chiediamo al Governo dopo aver detto che gran parte dei suggerimenti delle mozioni degli altri gruppi sono, per quel che ci riguarda, assolutamente condivisibili.
Voglio concludere ancora una volta ringraziando i colleghi della componente dei radicali e dicendo, con la stessa franchezza e con la stessa sincerità con la quale ho evidenziato il loro impegno a portare questo argomento in Parlamento, che mi auguro che non si creino fuori da questo Parlamento delle aspettative con le nostre parole e con le nostre dichiarazioni per quel mondo penitenziario che è giusto che richieda ad uno Stato civile un adeguamento delle condizioni di vita. Ma non creiamo delle aspettative promettendo o facendo immaginare che ci possano essere provvedimenti clemenziali.
Noi non riteniamo che questa sia la strada, cioè non pensiamo che si possano deflazionare le carceri con provvedimenti clemenziali. Riteniamo che ci debbano essere provvedimenti strutturali e organici e ci impegniamo ad adottarli, perché non vogliamo sacrificare le esigenze di sicurezza e non vogliamo abdicare alla necessità che vi siano una pena e un'espiazione certa, sia pure in maniera civile.
Quindi, anche per quanto concerne il 41-bis, riteniamo che non possa essere accettata la richiesta di quanti ritengono di dover proporre una modifica. Infatti, per noi il carcere duro non deve essere tale nell'espiazione e nelle condizioni di vivibilità, ma nella impossibilità di mandare all'esterno delle indicazioni e di creare dei contatti con l'esterno. Infatti, l'esperienza ci insegna che la criminalità organizzata (che è una «mala pianta» che non soltanto dobbiamo cercare di far seccare, ma che dobbiamo estirpare e siamo ancora molto lontani da questo risultato) utilizza tutti gli strumenti per poter, anche dalle carceri, inviare ordini al di fuori.
Quindi carcere duro non violando i principi minimali di convivenza civile all'interno delle carceri, ma carcere duro cercando di evitare le possibilità di contatto con l'esterno per quei soggetti che appartengono ad un mondo che troppo spesso ferisce anche lo Stato, non soltanto i cittadini, con la morte nell'adempimento del dovere di molti suoi servitori.
Quindi, ben vengano i suggerimenti e le iniziative che possono portare il nostro Paese ad un livello di civiltà degno della nostra storia e della nostra cultura, ma senza modificare alcune garanzie minimali che sono garanzie per le istituzioni e per i cittadini.
Per questo noi chiediamo al Governo un impegno chiaro e siamo sicuri che esso saprà dare le risposte adeguate, pur nella contingenza economica sicuramente non favorevole, pur avendo dovuto affrontare problemi come il terremoto in Abruzzo e la necessità di potenziare gli ammortizzatori sociali e la cassa integrazione, venendo incontro alle esigenze dell'industria per salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Credo che il Governo saprà essere capace di interpretare anche l'esigenza di porre fine a questo spettacolo che il nostro Paese non può e non deve permettersi il lusso di consentire (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.
GUIDO MELIS. Signor Presidente, lo scorso mese di dicembre ho passato quasi tre ore nel carcere circondariale di Sassari, era la terza volta da quando sono deputato che ho visitato questa struttura. Essa è ancora ospitata in un edificio ottocentesco fatiscente, l'edificio di San Sebastiano al centro della città. Dico «ancora» perché, come più volte ribadito dal Ministro e dal sottosegretario anche in risposta ad una mia specifica interrogazione ormai vecchia di quasi un anno, questo carcere dovrebbe essere interamente trasferito in altro edificio più idoneo, da anni in fase di costruzione; solo che l'inaugurazione del nuovo complesso, prevista tassativamente entro il 2010, slitterà quasi sicuramente - dicono notizie oramai ufficiali - almeno al 2011, se non oltre. Intanto però questo edificio è in funzione ed è, senza timore di smentite, il peggior carcere che abbiamo in Italia, ed è per questo motivo che ho cominciato citando questa situazione. Si tratta di una costruzione, come ho detto, fatiscente: il piano superiore è a rischio di crollo e perciò è stato sgombrato; 200 detenuti sono ammassati in celle anguste - altro che standard europei! - con quattro o sei persone in celle di tre metri per due, senza luce, con poca aria, al caldo d'estate e al freddo d'inverno. Il mese scorso il riscaldamento centrale era interrotto perché il fornitore della nafta non era stato pagato dal Ministero; esistono anche queste miserie nella situazione che stiamo descrivendo. Ci sono delle condizioni di promiscuità subumane; 125 tossicodipendenti, come diceva il collega Vitale. Il personale di grande professionalità è umiliato, ampiamente sotto organico: su una pianta di 212 solo 168 sono in servizio effettivo. L'ora d'aria avviene in uno squallido cortile riparato da una tettoia di lamiera; sui servizi igienici è meglio soprassedere; vi sono gravi problemi perfino nell'assicurare la pulizia ordinaria dei locali. La direttrice del carcere di Sassari mi ha riferito che i tagli recenti incidendo sul capitolo delle mercedi - un'inezia sembrerebbe - impediscono di utilizzare i detenuti nelle piccole pulizie quotidiane; sicché anche questo aspetto sta peggiorando velocemente.
Signor Presidente, Sassari non è un'eccezione, ho visitato l'anno passato diverse carceri: a Rebibbia nuovo complesso a Roma, un carcere molto più moderno, i problemi strutturali che ho elencato si ripresentano puntualmente. Anche in questo caso c'è poco personale, demotivato, lasciato a se stesso; locali ampiamente insufficienti a contenere un flusso di detenuti sovradimensionato; detenzione comune tra condannati a reati anche gravissimi e persone in attesa di giudizio. A Rebibbia nuovo complesso un folto gruppo di detenuti di nazionalità romena, condannati in primo grado per reati vari, ha chiesto di poter scontare la pena nel proprio Paese, rinunciando perciò ad esperire l'appello contro le sentenze che li condanna, ma non ci riescono. Abbiamo interrogato su questo specifico punto il Ministro che ci ha dato ampie rassicurazioni, ma siamo ahimè sempre al punto di prima, perché in Italia non solo non si fanno le riforme grandi ma neppure si mettono in pratica i rimedi piccoli, quelli che intanto potrebbero alleviare almeno un poco situazioni già gravemente compromesse.
A Rebibbia c'era in luglio un detenuto romeno - ci ho parlato a lungo - ammalato di cancro.
Gli erano state interrotte le cure anche per effetto del disordine nel quale è avvenuto il passaggio dalla sanità gestita dal Ministero della giustizia alla sanità gestita dalle ASL, con interruzioni, spesso, dell'assistenza. Anche in relazione a questo episodio una mia interrogazione sul punto al Ministro competente è rimasta, dopo oltre sei mesi, senza risposta.
La sequenza dei morti nelle carceri italiani è impressionante, l'hanno ricordato già molti colleghi, muoiono persone giovani, giovanissime. Nel 2009 ci sono stati 171 morti, undici nel solo mese di novembre, dei quali otto in giovane età, stroncate dal mal di carcere, suicidi, overdose, morti che spesso restano senza una spiegazione. I detenuti morti in questo modo dall'inizio dell'anno sono 159, 72 sono i suicidi accertati, ma chissà quanti sono, invece, i suicidi reali e il 60 per cento di questi detenuti era in attesa di giudizio. In Italia ogni anno muore in carcere un detenuto su mille, dicono le statistiche, contro il dato, per esempio, degli Stati Uniti che è di un detenuto su quattromila.
I quotidiani degli ultimi giorni hanno provato a stilare l'elenco di questi morti sconosciuti: se ne perde il conto. Voglio qui ricordare, a titolo di mero esempio, due casi, ancora di detenuti romeni, perché mi sto occupando in particolare di questa popolazione carceraria: quella di Cristian Lupu, a Frosinone, di 24 anni, suicidatosi, secondo i carabinieri, dando testate sulle pareti della cella nella quale era custodito (ma l'espressione «custodito» naturalmente è un eufemismo!) e quello avvenuto la scorsa settimana di Sorin Kalin, a Montecatini, morto in caserma, secondo fonti ufficiali, per essersi suicidato. Nessuno ne sa più nulla.
Di recente ho visitato la struttura dell'ospedale Pertini di Roma, dove è morto il povero Stefano Cucchi, un caso sul quale il vicesegretario del mio partito, l'onorevole Enrico Letta, ha poco tempo fa sollecitato energicamente il Presidente del Consiglio ad intervenire di persona ed ha fatto benissimo. Questo ragazzo, che avrà fatto pure fatto uso di droghe, che avrà pure commesso i reati che gli si addebitavano, è stato prelevato dai carabinieri e, da quel momento, era quindi sotto la responsabilità dello Stato italiano ed è deceduto perché selvaggiamente percosso, non si riesce ancora a sapere da chi, come, perché, in quali circostanze e in quali luoghi nella colpevole inerzia di tutte le strutture che lo hanno avuto in custodia. Nessuno, dico nessuno, dei medici che l'hanno visitato (e sono stati quattro o cinque, non ricordo bene) ha sentito il bisogno e il dovere di denunciare quanto stava accadendo all'autorità giudiziaria, come sarebbe stato suo preciso dovere.
Signor Presidente, ma in quale Paese viviamo? Di casi come questo di Stefano Cucchi, venuto alla luce anche per il coraggio ed il senso civico dei suoi familiari, come è stato ricordato dall'onorevole Rao, ce ne sono moltissimi, censurati, letteralmente sepolti nell'indifferenza delle autorità, nella debolezza stessa di chi li subisce e non ha la forza e il coraggio di denunciarli. Siamo un Paese a democrazia limitata perché solo in questo modo si può definire una situazione nella quale il sistema delle garanzie costituzionali non riesce ad oltrepassare i cancelli del carcere.
Molte cose si potrebbero e si dovrebbero fare. Non ci venite a dire che tutto si risolverà con il piano carceri però, siamo stanchi di sentir parlare di questo fantomatico piano carceri, ne sentiamo parlare ormai da più di un anno. Il Ministro stesso ammette che i finanziamenti non sono disponibili. Qui il problema è molto più serio, richiede intanto una presa d'atto da parte dell'intera classe dirigente, a cominciare dalla politica. Mi auguro che l'occasione dell'esame di queste mozioni possa essere l'inizio della riflessione collettiva che dobbiamo svolgere, innanzitutto su una politica concreta di depenalizzazione - ha ragione l'onorevole Vitali - di ricerca di pene alternative, l'esatto contrario di quanto state facendo, però, da quando siete al Governo, penalizzando sino al parossismo ogni angolo del codice. Il reato di clandestinità, che tanto ha gravato nel riempire le nostre carceri, non l'abbiamo inventato noi, l'avete inventato voi e ce lo avete imposto a colpi di voti di fiducia.
Credo che la situazione richieda anche un po' di umiltà: ci sono cose anche piccole che possono essere fatte subito, allora facciamole, anche insieme. Mi fa piacere ricordare qui una battuta dell'onorevole Lener che, parlando di carceri, qualche tempo fa, suggerì con un'espressione forse un po' cruda, ma che rende bene l'idea di applicare - diceva - la raccolta differenziata, evitando di mettere insieme detenuti condannati e pluricondannati con persone in attesa di giudizio o condannate a pene lievi distinguendo la detenzione per tipi di reati.
Magari, aggiungo, affrontando il paradosso che un'altissima percentuale di ospiti nelle nostre carceri trascorre in detenzione solo pochi giorni e poche notti (l'effetto «porta girevole», come l'ha chiamato una volta l'onorevole Tidei). Ciò suggerisce che si potrebbe subire altre forme meno invasive e pesanti di carcerazione provvisoria.
Mi ha molto colpito quello che ha detto l'onorevole Vitali oggi ed è significativo che lo dica un esponente della maggioranza, ma alle parole naturalmente bisogna far seguire i fatti. Bisogna, insomma, affrontare il problema in tutte le sue reali dimensioni, da quelle strutturali a quelle più occasionali, sulle quali è possibile intanto agire immediatamente e naturalmente accrescere l'investimento. Non si può, infatti, applicare il «Tremonti pensiero», tagliando in maniera uniforme dappertutto: non tutte le materie hanno la stessa valenza. Questa è una materia che ha un nesso con la civiltà giuridica del nostro Paese e non si possono fare risparmi e consistenti tagli in una materia come quella che ci troviamo di fronte. Dobbiamo essere capaci di scegliere e la scelta ci deve indurre a non tagliare sulle carceri.
È possibile agire, naturalmente è possibile accrescere l'investimento, non tagliare fondi, assumere il personale che necessita, curarne di più la selezione e la formazione. Il carcere è una grande questione nazionale e sarebbe ora che venisse messa nell'agenda del Governo e del Parlamento nel posto che le spetta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro sistema penitenziario, come già detto, versa in una condizione drammatica e direi sicuramente vicina al collasso. Il problema fondamentale è arcinoto ed è quello del sovraffollamento ormai a livelli insostenibili. L'ultimo dato del Dap, come è stato già detto, al 7 dicembre riferisce di 65.780 detenuti di cui quasi il 38 per cento stranieri e quasi la metà in attesa di giudizio definitivo. Siamo oltre 22 mila unità in più rispetto alla capienza regolamentare dei 206 istituti: un esborso astronomico per le casse dello Stato. Se è vero come risulta che un detenuto costa 300 euro al giorno, si tratta di un salasso di quasi 20 milioni di euro al giorno.
Il sovraffollamento, certamente quantitativo ma anche qualitativo, è diventato ormai una vera e propria pena accessoria - questo è il problema - per i reclusi che costringe in pochissimi metri quadrati, giovani e adulti, imputati e condannati di diverse razze e religioni, sani e con problemi di tossicodipendenza quando non addirittura di sieropositività: tutti costretti a convivenze difficilissime. Inutile dire come tale situazione ostacoli la possibilità di un proficuo contatto con gli operatori penitenziari dediti al trattamento, impedendo di fatto ogni tentativo di risocializzazione del detenuto che l'articolo 27 della Costituzione invece garantisce.
Ci sono stati casi assurdi denunciati dall'Osapp come quello di Milano San Vittore, dove i reclusi sono più di 1.500 a fronte di una capienza di regolamento di 800 posti letto, o quello di Napoli, Poggioreale, dove la situazione è, se possibile, ancora peggiore con circa 2.700 detenuti dove al massimo ce ne potrebbero essere 1.400, e con camerate da 15 posti letto che ne ammassano 40 con letti a castello fino al quarto piano (e stiamo parlando di letti a castello). A fronte di una media di mille nuovi ingressi al mese, a fine 2009 si è arrivati quasi a 66 mila detenuti. Le strutture carcerarie italiane non appaiano assolutamente in grado di sopportare a lungo un simile carico umano.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, è stato già detto, con sentenza del 16 luglio 2009 ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali proprio a causa delle disumane condizioni di detenzione sopra indicate. Il noto piano straordinario carceri del Governo, atteso ormai da aprile, appare come l'araba fenice. La mancanza di risorse è drammatica e i 500 milioni di euro della legge finanziaria per l'anno 2010 permetteranno eventualmente solo un primo stralcio dei lavori, senza contare che i tempi medi di realizzazione di nuove carceri, tra gare, ricorsi al TAR e intoppi vari, non sono certamente inferiori a cinque anni.
Voglio qui riferire di un fatto che la stessa trasmissione pubblica Striscia la notizia ci ha più di una volta documentato. Famoso è il carcere di Gela: dotato di 48 celle, tutte con servizi igienici, progettato nel 1959, finanziato nel 1978, cantiere aperto nel 1982, ultimato mezzo secolo dopo la progettazione, è stato inaugurato dall'allora Ministro della giustizia Mastella nel novembre 2007. Il provveditore regionale siciliano all'amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo, ne ha ipotizzato l'apertura il 1o luglio 2010. Dal 1959 al 2010! Incredibile, è passato mezzo secolo dal momento in cui è stato progettato al momento in cui sarà, se sarà, aperto nel luglio 2010.
Appare, quindi, miope l'atteggiamento del Governo, che, nel puntare solo sull'edilizia carceraria, in maniera più lungimirante dovrebbe, invece, attuare una seria politica di depenalizzazione, affiancata ad un ripensamento delle normative sulla sicurezza dei cittadini, volte alla sola repressione sul versante penale.
Allo stesso modo, appare necessaria un'azione riformatrice, volta all'ampliamento dell'applicazione delle misure alternative. Se ne parla, se ne parla, ma difficilmente, poi, si va su questo sentiero, che è quello probabilmente più necessario.
Da qualche anno il sistema delle misure alternative è statisticamente in netta discesa. In particolare, i tossicodipendenti, che sono autori per lo più di reati non gravi, andrebbero «decarcerizzati». È necessario trovare uno strumento che ne permetta l'uscita dal circuito detentivo e l'inserimento in strutture sanitarie protette, a custodia attenuata, che permettano di conciliare le esigenze di cura con quelle rieducative, perché sappiamo tutti che dentro il carcere il tossicodipendente non viene curato, non viene assolutamente risocializzato.
In generale, la sanità penitenziaria appare lontana dall'assicurare a tutti i detenuti il diritto alla salute costituzionalmente garantito. Il passaggio a regime delle competenze del Servizio sanitario avanza a macchia di leopardo e le dotazioni finanziarie alle regioni arrivano con il contagocce. Più di una ha dovuto mettere mano al portafoglio, magari solo per l'acquisto di medicine.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 2 per cento dei detenuti è portatore di HIV; il 17,9 per cento, cioè circa il 18 per cento, è risultato positivo al test della TBC: parliamo di tubercolosi, malattia che pensavamo praticamente debellata.
Il 38 per cento dei detenuti soffre di epatite e ben 15 mila risultano essere tossicodipendenti. Di questi, soltanto il 4,5 per cento è in trattamento metadonico, solo il 4,5 per cento. Pensiamo, poi, che negli ultimi dieci anni, come è stato già detto, su 1.500 detenuti che sono morti nelle nostre carceri, ben un terzo sono morti per suicidio.
Regime alimentare, mancanza di movimento, scarsa salubrità degli ambienti, grande consumo di sigarette - è ovvio, inevitabile - sono alcuni dei fattori che tendono a spiegare perché fra i carcerati siano maggiormente diffuse, rispetto alla popolazione libera, malattie quali quelle cardiologiche, che in genere colpiscono persone più giovani rispetto all'esterno, le broncopneumatie croniche ostruttive e le patologie osteoarticolari.
La diffusione degli psicofarmaci - ne parlava l'onorevole Vitali - spesso introdotti abusivamente in carcere, testimonia un disagio e una scarsa tutela della salute mentale, che avrebbe, invece, un ruolo decisivo nella prevenzione dei fenomeni di autolesionismo, più o meno gravi, e indiscutibili effetti positivi anche nella custodia.
È indubbio che in carcere si muoia troppo spesso, a volte in situazioni poco chiare. Nel recente dossier «Morire di carcere», scriveva Ristretti orizzonti, esiste un protocollo per quanto riguarda la gestione dei casi a rischio di suicidio. Badate bene, questo è un fatto che credo dobbiamo tenere bene a memoria: il detenuto viene messo in cella di isolamento, una cella che a volte, in termini tecnici, viene detta «liscia». Significa, cioè, che dietro le sbarre non ci sono oggetti che il carcerato possa usare: non c'è una branda, non ci sono coperte né armadietti, nessun lenzuolo e nemmeno il bagno. L'isolamento spesso è accompagnato dalla camicia di forza chimica, ovvero dagli psicofarmaci. Per 60 suicidi che avvengono, ogni anno ci sono 500 tentativi. Il 70 per cento di questi tentativi viene sventato dai compagni di cella.
È per questo che viene contestato dagli addetti ai lavoratori e dalle associazioni di settore l'isolamento come strumento di prevenzione, tant'è che non è così. Più in generale, il regolamento di esecuzione dell'ordinamento carcerario prevederebbe centri clinici e chirurgici dislocati sul territorio nazionale per rispondere alle necessità sanitarie della popolazione. Eppure, in tutto il territorio nazionale, ve ne sono soltanto due: uno a Pisa e uno a Roma, a Regina Coeli. E nel resto dell'Italia cosa è successo?
Va detto infine, a dimostrazione di quanto sopra, che oggi il trasferimento al Servizio sanitario nazionale, che doveva avvenire dal 1o ottobre 2008, non c'è stato, di fatto. Le risorse non ci sono; sui 157,8 milioni che dovevano essere dati nel 2008 ne sono stati assegnati solamente 32; il che significa che il resto è stato messo dalle regioni: come segnalato in numerose interrogazioni parlamentari, in gran parte delle regioni pochi soldi sono arrivati, e sono state poi le regioni stesse, più oculate, che hanno dovuto anticipare risorse per garantire livelli minimi di assistenza ai detenuti.
Un esempio per tutti: è passato oltre un anno dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PIETRO TIDEI. Un altro minuto e ho concluso, signor Presidente. E anche qui dobbiamo dire che tutte le proposte, tutte le indicazioni non sono state minimamente attuate. Peccato che l'onere di tutto ciò sinora ha gravato sulle regioni che hanno autonomamente attivato iniziative interessanti.
In ultimo - e concludo, signor Presidente - è la situazione del personale che va assolutamente adeguata alle impellenti esigenze dettate dal sovraffollamento: mancano 6 mila agenti, 500 educatori e altri assistenti sociali, personale di custodia e di trattamento, che la grave carenza costringe a lavorare in condizioni drammatiche, difficili e frustranti, rendendo peraltro difficile - e questo è importante - la valutazione della magistratura di sorveglianza sull'applicazione dei benefici carcerari e delle misure alternative.Vorrei quindi concludere con le stesse parole con cui pochi giorni fa si è chiuso un convegno a Palazzo Valentini sul sistema carcerario. Successivamente alla legge cosiddetta Gozzini si parlò con entusiasmo del «carcere della speranza»: dopo oltre dieci anni di proposte, di dibattiti e di totale indifferenza, dico io, è il caso di parlare di «carcere della disperazione», e tale rimarrà se Governo e Parlamento non considereranno prioritaria e centrale la riforma del sistema carcerario e di quello giudiziario. Altro che riforme ad personam, che non risolveranno mai questi problemi, ma che forse salveranno il Capo del Governo dai processi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Tidei, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, il dibattito in corso sulla situazione del sistema carcerario italiano incrocia diverse sensibilità e diversi punti di vista da parte dei rappresentanti dei diversi gruppi. Si è parlato unanimemente di sovraffollamento, e sotto la voce «sovraffollamento» in realtà si annidano diverse altre questioni molto importanti, che non attengono soltanto alla quantità dei detenuti presenti nelle carceri italiane. Vi sono, è vero, questioni che riguardano l'edilizia carceraria, vi sono questioni che riguardano la presenza di molti detenuti in custodia cautelare: il collega e amico Vitali ha fornito cifre concrete da questo punto di vista, esemplificative della situazione carceraria presente in questo momento.
Vi sono però poi questioni relative a persone detenute in custodia cautelare, relative all'eccessiva lunghezza dei nostri processi; vi sono quantità importanti di stranieri, spesso extracomunitari, e la questione dei rimpatri di tali stranieri. Vi è, ancora, la questione dei tossicodipendenti in carcere, di coloro che sono in carcere per reati legati al Testo unico sulle tossicodipendenze. Vi sono patologie psichiatriche, citate in ultimo dal collega che ha parlato prima di me, e inoltre la questione delle condizioni sanitarie, del contributo al sistema sanitario che le regioni devono fornire, le condizioni dei rapporti familiari dei detenuti, il problema dei bambini, 71 bambini attualmente detenuti nelle carceri italiane.
Abbiamo poi l'altro versante, quello di coloro che nel carcere operano, quindi la polizia penitenziaria sotto organico, con la necessità di un numero maggiore di educatori, un numero maggiore di assistenti sociali, di psicologi, di psicoterapeuti, e la questione del lavoro in carcere, e di un binario di reinserimento per coloro che vivono l'esperienza carceraria e scontano la pena.
Tutti questi elementi sono all'ordine del giorno di questo dibattito, e sono oggetto delle mozioni presentate dai gruppi.Ritengo che il Ministro Alfano e il sottosegretario Caliendo che, in rappresentanza del Ministero oggi è qui a seguire con attenzione la questione in oggetto, abbiano dato prova, nel corso di vicende che hanno riguardato la situazione delle carceri italiane, di una grande sensibilità su questo tema che è, lo sottolineo, molto importante. Credo anche che le parole - le ricordava il collega Rao nel corso di questa discussione sulle linee generali - pronunciate dal Capo dello Stato sul medesimo tema nel suo intervento di fine anno, siano certamente da cogliere come un auspicio. Questa discussione sulle linee generali stessa è un segnale importante di un'attenzione del legislatore al tema in oggetto, alla popolazione carceraria e agli operatori che lavorano all'interno del medesimo contesto.
Credo che tutte queste proposte, delucidate dal collega Vitali nella mozione che porta la sua prima firma, siano importanti, serie e in grado di dare risposte anche concrete a molte delle questioni - forse non a tutte - emerse all'interno di questo dibattito. Credo che il tema centrale sia quello di riuscire a commisurare in maniera dignitosa le due grandi funzioni che la nostra Costituzione attribuisce al sistema carcerario anche cercando pene alternative, senza inseguire sempre e comunque la deriva di penalizzazione di qualsivoglia reato, come giustamente diceva l'onorevole Vitali, ma cercando di commisurare da un lato la funzione punitiva della pena e dall'altro quella rieducativa, ben sapendo che le condizioni carcerarie sono lo specchio della civiltà di un Paese.
Pertanto, anche le condizioni delle carceri italiane devono essere all'altezza di una grande civiltà di un Paese, la cui storia e in specie l'opera Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria testimonia una sensibilità su questo tema. Credo che il Governo possa impegnarsi e fare molto, che stia dando segnali importanti e che possa cogliere l'occasione di questo dibattito per dare ulteriori segnali importanti di attenzione per la soluzione dei problemi in oggetto che sono - lo ripeto - la cartina di tornasole del livello di civiltà di un Paese democratico, civile e moderno come l'Italia è e deve continuare ad essere (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
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